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GranMilano

Travolti da un inutile processo. Cosa insegnano gli ultimi flop dei pm

Fabio Massa

Le vittime collaterali sono troppe. La malagiustiza è ormai ordinaria amministrazione vista la frequenza con cui capita

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Alcuni le potrebbero definire vittime collaterali, se non fosse che si tratta di vite, di carriere, di figli, di lacrime. Malagiustizia, la potremmo chiamare. E invece la definizione esatta è ordinaria amministrazione, vista la frequenza con cui capita.

 

Giacomo Di Capua era un ragazzo di poco più di trent’anni, una bella carriera politica davanti. Uomo di fiducia prima del sottosegretario Mario Mantovani (in seguito assessore al Welfare e vicepresidente di Regione Lombardia), era la persona a cui tutti si rivolgevano quando c’era da svolgere un ragionamento complesso con effetti rapidamente pratici. Preso e sbattuto in carcere, sette anni fa, con un figlio appena nato a casa: aveva un mese di vita. Assolto lunedì, con formula pienissima. Sette anni dopo. Per archiviare Francesco Greco, a Brescia, ci hanno messo una manciata di giorni. Assolto, ma lo era già in primo grado, anche Massimo Garavaglia, oggi ministro, che raccontano aver avuto anche qualche accidente, per quella storia. Un’esperienza che adesso lo tiene molto lontano dalla Lombardia e non lo mette – per sua scelta – tra i papabili alla presidenza regionale malgrado ne abbia tutti i numeri. I figli di Attilio Fontana, invece, hanno dovuto leggere, vergata da mani ignobili a poche decine di metri da casa, una scritta enorme: “Fontana assassino”. Poi cancellata, ma che vergogna. E poi ancora: Fontana ladro, scritto sui social e sui giornali. E’ l’ultimo caso di una serie infinita di indagini che ha visto la Procura di Milano vincente, l’ultima volta, contro Roberto Formigoni, molti anni fa, e pochissimi altri.

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Per decenza non commentiamo quelli che – come il Movimento cinque stelle – si erano messi in mostra in favore di telecamere con le cassette di arance sotto a Palazzo Lombardia quando Mantovani venne arrestato. Eppure, proprio nella settimana dell’assoluzione di Mantovani, c’è una coincidenza temporale interessante: domani ci sarà la prima udienza sulla richiesta di rinvio a giudizio che la Procura ha chiesto per il governatore Fontana nel “caso camici”. La politica di Palazzo Lombardia e del Pirellone ha attribuito all’appuntamento giudiziario – come spesso fa purtroppo senza informarsi né studiare – una valenza estrema. Nei corridoi si mormora: venerdì Fontana decide se ricandidarsi, prima di tutto dando per scontata l’equazione che se ci sarà un rinvio a giudizio (cosa assai probabile), lui  scegliere di sottrarsi alla contesa politica. Peccato che venerdì non si decida niente, visto che è già stata fissata una seconda udienza il primo aprile (che forse neanche si terrà perché qualche legale avrebbe chiesto il legittimo impedimento per altri impegni) e si prevede che ci sarà pure una terza udienza. Insomma, la questione andrà per le lunghe, prevedibilmente fini ad aprile inoltrato.

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Tuttavia è significativo il fatto che non una condanna, ma una semplice richiesta di rinvio a giudizio, evochi tutto questo interesse sul destino politico di una regione. Anche e soprattutto in casa leghista. Se infatti Forza Italia furbescamente pressa Fontana perché prenda una decisione, la Lega pare spaesata: da una parte quelli che soffiano all’orecchio di Matteo Salvini l’idea che Fontana non sia spendibile perché sarà rinviato a giudizio, e la sentenza cadrà proprio nei giorni del voto, nel 2023 (previsioni a lungo termine, con la stessa attendibilità di quelle del tempo a un mese di distanza); dall’altra i suoi fedelissimi che invece gli dicono di non mollare, anche se il Covid (più ancora che le vicende giudiziarie) è un handicap e non una spinta nella contesa elettorale. Da tutto questo la politica, anche quella di centrodestra, anche quella leghista, non esclude – come dovrebbe – la questione giudiziaria, ma anzi ci fa perno, trascurando che dovrebbero essere i programmi a determinare le candidature, e non le vicende giudiziarie. Il resto è una scelta personale, di Attilio Fontana: perché ricandidarsi vuol dire necessariamente accendere i riflettori sulla vicenda giudiziaria. Due dati di cronaca in coda: a Milano non si è ancora scelto il procuratore capo dopo che Francesco Greco – come anticipato dal Foglio – è andato a fare il consulente da Gualtieri a Roma, una volta pensionato. nell’attesa, c’è il facente funzioni Riccardo Targetti. Mesi di attesa, ma nel frattempo si è appreso da la Notizia che Roberto Bichi, presidente del Tribunale di Milano, ha deciso di dare le dimissioni. Così, a breve, nel Palazzo di via Freguglia ci sarà un vertice in meno.

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