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Storia gloriosa dei salumi brianzoli. Aziende alla conquista del mondo

Daniele Bonecchi

Rovagnati di Biassono, radici nel Dopoguerra e grande balzo in avanti negli anni ’90 grazie alle tv di Berlusconi, ha ottenuto da Unicredit un finanziamento da 10 milioni per produrre salumi nel New Jersey, tramite la controllata Rovagnati US Holding Inc

Sembra ancora di sentirne il profumo. Nelle domeniche d’autunno, su per la strada che porta in cima a Montevecchia, ai tavoli delle osterie, in compagnia degli inseparabili caprini e del risotto alla monzese (necessariamente con la luganega) – c’è nel piatto il re indiscusso della tavola lombarda: il salame brianzolo. Ma el salamm era già sceso rapidamente a valle, trovando posto nella tradizione meneghina (quando Cracco non aveva ancora infiammato il teleschermo). Al Matarel di corso Garibaldi, prima di ordinare, era d’obbligo rendere onore al Comini, accettando di buon grado un “tallone” (una fetta da un paio di centimetri di spessore) di salame, anche per evitare di finire bandito dall’osteria: “Se vuoi mangiare la minestrina vai all’ospedale!”. Un mondo di tradizioni che sta evolvendo, in virtù della new wave gastronomica che sta imponendo sul mercato i salumifici artigianali (fenomeno che riguarda tutta la Lombardia agricola). E che vede più in difficoltà, o invece con la forza di rilanciare, un settore di piccola e media impresa territoriale di grande tradizione, perché Brianza non è soltanto mobili. E’ la storia di alcune famiglie che hanno fatto grande la Brianza a tavola, e dagli alterni destini. Molteni, Vismara, Beretta, Rovagnati.

 

L’ultima notizia, ad esempio, è che Rovagnati di Biassono, radici nel Dopoguerra e grande balzo in avanti negli anni ’90 grazie alle tv di Berlusconi, ha ottenuto da Unicredit un finanziamento da 10 milioni per produrre salumi nel New Jersey, tramite la controllata Rovagnati US Holding Inc. Una delle penultime è il momento di crisi della Vismara di Casatenovo, 160 dipendenti, che ha rischiato di crollare non per colpa, ma trascinata dal crac del gruppo emiliano Ferrarini. Ma la storia dei salami di Brianza ha una sua epica. Il monarca assoluto dell’insaccato made in Brianza è stato per molti decenni Ambrogio Molteni. Imprenditore immaginifico: fin troppo forse, nel 1977 viene arrestato per lo scandalo della mortadella allo sterco, una truffa di natura fiscale (gli affari andavano male), niente a che fare con la qualità dei prodotti. Per vent’anni però la stella di Molteni (stabilimento ad Arcore) ha brillato anche lungo le strade del Giro d’Italia e del Tour. Ambrogio era innamorato delle due ruote. E’ così che diventa, per lungo tempo, il patron dell’omonima e famosa squadra ciclistica degli anni ’60-’70. Anche perché non spende una lira in pubblicità, ma ad ogni vittoria della sua scuderia le vendite dei salami s’impennano.

 

Una squadra di campioni, straordinaria e longeva. Con la tradizionale maglia color camoscio e striscia nera orizzontale (che si può acquistare ancora oggi in rete a 39,99 euro sul sito ciclismodileggenda.com), la Molteni ha esordito nel 1958, con la prima vittoria alla Tre Valli Varesine. In poco tempo la squadra riesce ad affermarsi e a trovare un capitano coi fiocchi: Eddy Merckx. Il Cannibale porta alla Molteni ben 246 vittorie. E poi Rudi Altig, Gianni Motta (48 vittorie), Michele Dancelli (47 vittorie), Marino Basso (34 vittorie). Verso la fine degli anni 70 la Molteni comincia ad attraversare pesanti difficoltà finanziarie che convincono patron Ambrogio a lasciare il ciclismo. La tragica morte in fabbrica della moglie Olga Sala è un duro colpo per Molteni e l’inizio della fine per l’azienda che, nel 1987 dichiara fallimento.

 

La data della nascita dell’azienda Beretta si perde nel tempo, un paio di secoli fa: 1812. E’ in quel lontanissimo 5 maggio che Carlo Antonio Beretta riceve dal padre la bottega di famiglia, in cui si vendono carne suina e derivati in quel di Barzanò. Ma sono Felice e Mario Beretta a trasformare la bottega in una industria, tanti anni dopo, attorno al 1960. La famiglia pensa subito agli affari e si lancia nell’incipiente mercato della grande distribuzione. E’ negli anni 70 che Beretta costruisce la sua strategia commerciale, pubblicizzando i suoi salumi confezionati nei supermercati e nelle fiere internazionali. Nel 1976 nasce il mitico Wuberone, un wurstel che darà una sferzata al mercato e che anticiperà numerose acquisizione, in vista della campagna di sfondamento sui mercati internazionali. Prima gli Usa, con uno stabilimento in California, poi la Cina, grazie a una Joint venture con il colosso cinese Yurun. Per Beretta la qualità è un continuo investimento in ricerca e sviluppo. Lontano mille miglia dal salumificio delle origini. Beretta utilizza un processo di controllo su sicurezza e igiene più stringente delle leggi nazionali e delle norme internazionali: il Sistema Assicurazione Qualità. Il cardine della filiera controllata è l’Animal Welfare. Solo razze pure per la riproduzione, un software che controlla tutte le fasi di allevamento, alimentazione esclusivamente vegetale e rigorosamente no ogm. C’è ancora il salame Brianza, ma il marchio Beretta è diventato un colosso internazionale.

 

Il cavalier Francesco Vismara ha scritto una pagina gloriosa, a Casatenovo, dell’industria alimentare briantea, la cui nascita risale al 1898. Nipote del fondatore, è stato una figura di primo piano nel panorama imprenditoriale italiano e lombardo della seconda metà del Novecento. Tra i fondatori e a lungo presidente sia di Assica, l’Associazione industriali delle carni, sia di Clitravi, la federazione europea delle associazioni nazionali. Lo stabilimento di Casatenovo ha saputo trasformare un piccolo paese in uno dei principali centri industriali del territorio. Perché Vismara – come molti dei suoi “concorrenti” ha fatto la storia del suo territorio. Al punto che per conservare la memoria di questo importante stabilimento il comune di Casatenovo ha dato vita al progetto “Non si butta via niente“, una ricerca delle fonti storiche locali e delle realtà d’impresa. Nel 1987 l’azienda viene venduta alla Buitoni. Dopo nemmeno un anno passa alla Nestlé e comincia un periodo di difficoltà, che coincide con la scelta di abbandonare i prodotti tipici. Nel 2000 la Nestlé la cede alla Ferrarini che – benché il fatturato ci sia – entra in tensione finanziaria per via dell’indebitamento crescente.

 

La girandola di possibili acquisizioni – passata anche dal gruppo Amadori – non si è fermata, e poche settimane fa è arrivata in Consiglio regionale una interrogazione presentata dai consiglieri leghisti per evitare “l’eventuale chiusura di questo storico marchio, sarebbe una ferita drammatica per l’intero tessuto produttivo brianzolo e per le famiglie”. Tutt’altra storia quella portata al successo dal sorriso rassicurante di Mike Buongiorno. “Amici ascoltatori! Oggi abbiamo un nuovo grande sponsor. E per la prima volta mi occupo di prosciutto. E precisamente ‘Gran Biscotto, Prosciutto Cotto, Rovagnati’. Con queste parole l’eterno Mike portava al successo l’azienda e i prodotti di Paolo Rovagnati su Canale 5. Non solo, si consolidava con “La ruota della fortuna” una formula pubblicitaria innovativa. Un colpo di genio di Silvio Berlusconi, ideato per far crescere assieme fatturato dello sponsor e quello della pubblicità, grazie agli ascolti. Era il 1991 e il prosciutto Rovagnati entrava nelle vite di tutti gli italiani. La Rovagnati Angelo Sdf era nata in Brianza alla fine della Seconda guerra mondiale ma dedicandosi alla produzione di burro e all’ingrosso di formaggi. Nel 1962 Paolo Rovagnati decide di allargare la produzione ai prosciutti e avvia la ricerca per trovare un prosciutto cotto di alta qualità. Nel 1985 la società conta 118 dipendenti. Paolo Rovagnati, che ha il pallino del marketing, grazie a un esclusivo impianto che permette di marchiare a fuoco il prosciutto inventa “Granbiscotto”. Poi il bacio di Mike.

 

Oggi Rovagnati ha conquistato la sua bella fetta di mercato nazionale e internazionale, e ora si va alla conquista del New Jersey. Adesso la pandemia ha steso un velo sul saper fare di queste parti. Ma siccome “il buon cibo è il fondamento della vera felicità“ (Auguste Escoffier), non c’è miglior vaccino di una buona fetta di salame.

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