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il caso

La tragedia di Rigopiano e la vena mediatica della procura di Pescara

Ermes Antonucci

Di fronte ad alcune critiche i magistrati pescaresi sono intervenuti con un comunicato stampa, quasi a voler difendere la propria immagine agli occhi dei cittadini. Come fa un partito con i propri elettori

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Nuove vette per il processo mediatico sono state raggiunte dalla procura di Pescara, che ha deciso di rispondere con un comunicato stampa alle dichiarazioni fatte da un legale di parte civile in merito alle motivazioni di una sentenza. Si tratta della pronuncia con cui il gup di Pescara, Gianluca Sarandrea, lo scorso febbraio ha condannato cinque imputati e assolto altri venticinque per il disastro di Rigopiano, l’hotel posto ai piedi del Gran Sasso che il 18 gennaio 2017 venne travolto da una valanga, sotto la quale morirono 29 persone. 

 

Nel provvedimento di 274 pagine, il giudice ha spiegato le ragioni che hanno portato all’assoluzione di gran parte degli imputati, sottolineando in particolare la mancanza di una responsabilità in ordine al reato di disastro colposo, dovendosi escludersi qualsivoglia collegamento causale tra la presunta condotta omissiva tenuta dagli imputati e il crollo dell’hotel Rigopiano, causato da una valanga “imprevedibile”. 

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Già all’epoca della lettura del dispositivo, senza ancora che le motivazioni fossero depositate, il giudice venne travolto nell’aula del tribunale da un’ondata di insulti e minacce di ogni tipo (“bastardo”, “devi morire”, “venduto”, “non finisce qui”). Con il deposito delle motivazioni, l’indignazione si è riproposta. Nel bailamme è intervenuto anche l’avvocato Romolo Reboa, che nel processo ha rappresentato diverse famiglie delle vittime della tragedia. “Osservo come, purtroppo, una sommaria lettura delle circa 300 pagine della sentenza del dottor Gianluca Sarandrea confermi le dichiarazioni che ho rilasciato a caldo, cioè che molte assoluzioni derivano dalla formulazione dei capi d’imputazione da parte della procura della repubblica di Pescara, che non hanno superato il vaglio dibattimentale”, ha detto Reboa, aggiungendo anche che “la procura dovrebbe riesaminare la posizione di altri soggetti, anche sulla base delle considerazioni fatte dal magistrato giudicante”. 

 

Chiamata in ballo, la procura non si è fatta pregare e ha rilasciato un comunicato stampa mirabolante. “La procura della Repubblica di Pescara – si legge –, nel rispetto del diritto all’informazione e nella consapevolezza dell’esigenza collettiva di comprendere le ragioni della decisione e delle diverse posizioni della parti processuali, esprimerà la propria posizione esclusivamente nell’atto di appello, sui capi di sentenza che riterrà di dover impugnare”. E però, dopo questa premessa, ecco che la procura smentisce se stessa, intervenendo per rispondere alle critiche mosse nei suoi confronti: “La procura della Repubblica di Pescara intende ribadire ancora una volta, a fronte di ripetute affermazioni circa presunte responsabilità rimaste fuori dal processo, che è la stessa sentenza ad escludere tale evenienza con la formula ‘fatto non sussiste’, e non avendo il giudice disposto la trasmissione degli atti al pm per procedere nei confronti di altri”. 

 

Insomma, a dispetto della premessa, la procura di Pescara ha deciso di intervenire non nell’ambito processuale, attraverso l’atto di impugnazione, ma nell’ambito mediatico, quasi a voler difendere la propria immagine agli occhi dei cittadini, come un partito fa con i propri elettori. Non una novità per un fenomeno ormai noto da anni, ma che sempre sorprende per la sua natura paradossale. 

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La ciliegina sulla torta è rappresentata dalla parte del comunicato stampa in cui si sottolinea che intanto “i magistrati del pool che hanno sostenuto l’accusa, Bellelli, Papalia, Benigni, sono impegnati in una lettura ragionata delle motivazioni della sentenza”. Da ridere, se non ci fosse da preoccuparsi per l’andazzo che hanno preso i rapporti tra magistratura e media. 

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