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La riforma che serve

Giovanni Pitruzzella

Migliorare la giustizia si può, l’importante è mettere bene a fuoco gli obiettivi

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Fisco, Pubblica amministrazione, giustizia entreranno nel Piano di ripresa e resilienza come le principali riforme strutturali necessarie per abilitare la crescita economica e la coesione sociale. La riforma della giustizia, in particolare, è da tanto tempo ritenuta condizione abilitante della crescita ma è stata anche un terreno di scontri partigiani. Perciò è bene che si cominci dalla giustizia civile, dove minori sono i conflitti ideologici e la cui funzionalità è indispensabile per garantire l’adempimento dei contratti e la tutela dei diritti economici, cioè il buon funzionamento dell’economia di mercato. Ma quale deve essere l’obiettivo della riforma? La risposta che campeggia nel dibattito pubblico consiste nella riduzione dei tempi della giustizia civile. Obiettivo sacrosanto visto che mediamente per avere una decisione definitiva ci vogliono circa quattro anni e che certi processi, specie quelli di grande rilevanza economica, durano molto di più. Ma concentrare l’attenzione su questo aspetto porta a tralasciare un altro aspetto non meno rilevante della questione giustizia, e cioè quello della “qualità” delle decisioni giudiziarie. Aspetto che coinvolge due esigenze basilari dello Stato di diritto: la certezza e prevedibilità del diritto e la legittimazione degli organi giurisdizionali, ossia la loro indipendenza. Lo Stato di diritto richiede la sottoposizione sia dello Stato che dei privati alla legge, cioè a una regola di condotta che sia previamente fissata e conosciuta (e quindi che non sia retroattiva). Il governo della legge garantisce insieme la libertà, perché la sfera di libertà dei privati non dipende dai capricci e dalle passioni di chi esercita i poteri pubblici, e il mercato, perché rende possibile il calcolo economico degli imprenditori.

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Fisco, Pubblica amministrazione, giustizia entreranno nel Piano di ripresa e resilienza come le principali riforme strutturali necessarie per abilitare la crescita economica e la coesione sociale. La riforma della giustizia, in particolare, è da tanto tempo ritenuta condizione abilitante della crescita ma è stata anche un terreno di scontri partigiani. Perciò è bene che si cominci dalla giustizia civile, dove minori sono i conflitti ideologici e la cui funzionalità è indispensabile per garantire l’adempimento dei contratti e la tutela dei diritti economici, cioè il buon funzionamento dell’economia di mercato. Ma quale deve essere l’obiettivo della riforma? La risposta che campeggia nel dibattito pubblico consiste nella riduzione dei tempi della giustizia civile. Obiettivo sacrosanto visto che mediamente per avere una decisione definitiva ci vogliono circa quattro anni e che certi processi, specie quelli di grande rilevanza economica, durano molto di più. Ma concentrare l’attenzione su questo aspetto porta a tralasciare un altro aspetto non meno rilevante della questione giustizia, e cioè quello della “qualità” delle decisioni giudiziarie. Aspetto che coinvolge due esigenze basilari dello Stato di diritto: la certezza e prevedibilità del diritto e la legittimazione degli organi giurisdizionali, ossia la loro indipendenza. Lo Stato di diritto richiede la sottoposizione sia dello Stato che dei privati alla legge, cioè a una regola di condotta che sia previamente fissata e conosciuta (e quindi che non sia retroattiva). Il governo della legge garantisce insieme la libertà, perché la sfera di libertà dei privati non dipende dai capricci e dalle passioni di chi esercita i poteri pubblici, e il mercato, perché rende possibile il calcolo economico degli imprenditori.

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Questi ultimi accettano il rischio legato all’incertezza degli esiti delle loro iniziative, ma non possono sottostare all’incertezza sulle conseguenze giuridiche del loro agire. L’economia di mercato, l’efficienza delle transazioni economiche, la possibilità di investire richiedono un quadro di regole preventivamente conosciute e la possibilità di ottenere una tutela effettiva dei diritti che ne derivano. Di contro, oggi in Italia gli operatori economici, quando si confrontano con le regole fiscali, con le regole ambientali o urbanistiche, con il diritto del lavoro, persino con il diritto penale, hanno l’impressione che il diritto sia divenuto “inconoscibile”. Per affrontare questo nodo bisogno risalire al modo come viene prodotto il diritto nelle liberaldemocrazie. In esse coesitono due circuiti: il circuito della politica, basato sulla legittimazione democratica proveniente dalle elezioni e dai partiti, e il circuito della giurisdizione, fondato sulla competenza tecnica e l’indipendenza dei giudici. Il primo produce la legge e le altre fonti del diritto, il secondo applica le norme al caso concreto. Il diritto e la sua certezza dipendono dal modo in cui interagiscono i due circuiti. Se le disposizioni legislative si accavallano senza un disegno e sono scritte in maniera incomprensibile, è difficile avere certezza del diritto. Quindi la riforma della giustizia deve andare di pari passo con la razionalizzazione delle fonti del diritto. Poi però ci sono i giudici, che sono molto lontani dalla stilizzazione protoliberale di “bocca della legge”, perché l’interpretazione è un’attività creativa. La discrezionalità del giudice è ineliminabile ed è anche necessaria per adeguare il diritto legale al caso e alle rapide trasformazioni sociali ed economiche che il legislatore non poteva prevedere.

 

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Come ha scritto Aharon Barak, “la domanda fondamentale non è se debba esistere la discrezionalità, ma: dove una società democratica che sia retta dal diritto debba porre i limiti appropriati alla discrezionalità”. Limiti che non possono consistere nei gusti e nelle tendenze politiche del singolo ma in standard oggettivi, tratti dalla Costituzione e dal diritto europeo con l’accento che essi pongono sulla libertà del singolo e delle formazioni sociali, sulla ragionevolezza e la proporzionalità, sul giusto processo. Limiti che per funzionare postulano un contesto istituzionale che garantisca la piena indipendenza dei giudici e che perciò affidi la loro selezione per gli incarichi più importanti esclusivamente alla competenza tecnica. Approfittando del clima di pacificazione nazionale, su questi temi sarebbe utile avviare riflessioni e confronti costruttivi tra tutti gli attori coinvolti.

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