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Il più grande depistaggio della storia repubblicana

Riccardo Lo Verso

Come un delinquente pataccaro e un manipolo di poliziotti travolsero le indagini sulla strage di via D'Amelio. E a quei sette imputati condannati ingiustamente all'ergastolo nessuno ha chiesto ancora scusa

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Non bisogna trovare dei colpevoli ad ogni costo, soprattutto se sono innocenti. Altresì non è necessario urlare che il più grande depistaggio della storia repubblicana ha impedito di scoprire la verità sulla strage di via D'Amelio, dove furono trucidati Paolo Borsellino e gli uomini della scorta.

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Non bisogna trovare dei colpevoli ad ogni costo, soprattutto se sono innocenti. Altresì non è necessario urlare che il più grande depistaggio della storia repubblicana ha impedito di scoprire la verità sulla strage di via D'Amelio, dove furono trucidati Paolo Borsellino e gli uomini della scorta.

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Non se finora è venuto fuori soltanto che un manipolo di poliziotti, alcuni morti e altri sotto processo, si misero d'accordo nello sgabuzzino di una questura e si presero gioco dei magistrati. Sia quelli che raccolsero le dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino, che coloro i quali quei racconti farlocchi li hanno portati e difesi in una decina di processi, dal primo grado alla Cassazione.


 

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Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta ha archiviato l'inchiesta nei confronti di Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, due dei pubblici ministeri che gestirono la collaborazione di Scarantino, un delinquente di mezza tacca di una borgata palermitana vestito da boss. E pure stragista. Un picciotto, noto più per qualche parentela mafiosa che per le sue gesta criminali, che ad un certo puntò si piazzò al fianco dei boss che alzarono l'asticella della sfida allo Stato, smembrando corpi, vite e palazzi con il tritolo.

 

I magistrati hanno creduto che un illustre, o quasi, sconosciuto facesse parte dell'ala stragista corleonese. Ci hanno creduto a tal punto che sono stati inflitti sette ergastoli con il sigillo della Cassazione. Alcuni decenni dopo sono arrivate le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, il più accreditato Gaspare Spatuzza, e i processi sono diventati carta straccia. Risultato: ergastoli annullati e imputati scagionati dopo anni di detenzione.

 

Ad un certo punto Scarantino, sempre lui, disse che Giovanni Tinebra, allora procuratore di Caltanissetta e oggi deceduto, Palma e Petralia sapevano che era stato imbeccato dai poliziotti agli ordini del capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, morto pure lui.

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La Procura di Messina, competente per il caso dei due pm, ha rimesso mano a decenni di indagini. Ha sbobinato ore e ore di interrogatori del collaboratore di giustizia. Si è accorta che ad un certo punto le registrazioni si interrompevano. Si ipotizzò che le pause servissero per suggerire a Scarantino cosa dire. È venuto fuori pure che Scarantino fosse in possesso di un telefonino, diciamo, di servizio. Una linea diretta con poliziotti e magistrati con tanto di brogliacci ripescati negli archivi polverosi delle procure e non dentro i fascicoli processuali.

 

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Insomma, il caos. Il gip Simona Finocchiaro, che ha archiviato l'indagine su Palma e Petralia, oggi rispettivamente avvocato generale a Palermo e procuratore aggiunto a Catania, scrive che ci furono “anomalie tecniche, giuridiche e valutative”, ma niente dolo, né consapevolezza di volere accusare ingiustamente degli innocenti. Non è stata individuata alcuna condotta penalmente rilevante a carico dei magistrati indagati per calunnia aggravata dall'avere agevolato Cosa Nostra.

 

Ad opporsi alla richiesta di archiviazione erano stati quattro dei sette imputati condannati ingiustamente all’ergastolo, assistiti dagli avvocati Rosalba Di Gregorio e Giuseppe Scozzola. Sono gli stessi legali che negli anni di Scarantino improbabile stragista urlavano che le sue erano solo balle. “Fantasie”, le definirono persino alcuni giudici, pochi a dire il vero, che si accorsero che Scarantino era un pataccaro. Niente, altri colleghi andarono avanti, appellando le assoluzioni e facendo infliggere degli ergastoli. Tutti presi per il naso da un manipolo di poliziotti che hanno organizzato il più grande depistaggio della storia repubblicana. Non se n'erano accorti, i magistrati, e nessuno che si sia sentito in dovere di dire, semplicemente, “scusate ci siamo sbagliati”.

 

 

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