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Md contrasta il metodo Gratteri, che è molto simile al vecchio metodo Md

Ermes Antonucci

Persino a Magistratura democratica sono parse inopportune le dichiarazioni rilasciate dal procuratore di Catanzaro in un'intervista. Anche se il magistrato calabrese sembra aver ereditato certe abitudini proprio dalla tradizione militante e giustizialista di Md

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Persino a Magistratura Democratica non sono piaciute le dichiarazioni rilasciate venerdì scorso dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, al Corriere della Sera. Nell’intervista Gratteri non solo ha motivato le particolari tempistiche della sua ultima inchiesta antimafia facendo riferimento alla situazione politica del Paese (“Cesa ha detto no a Conte in tv”), ma ha anche avanzato strane allusioni nei confronti dei giudici che molto spesso annullano gli arresti chiesti dalla procura di Catanzaro (“La storia spiegherà anche queste situazioni”). Giudici collusi con la mafia? Chissà. La gravità dell’allusione, che rischia di turbare il lavoro dei magistrati chiamati a valutare la recente inchiesta, è stata colta anche dal gruppo di Magistratura Democratica, che con una dura nota ha criticato le parole di Gratteri definendole “un rischio per il libero dispiegamento della giurisdizione”: “Non crediamo che la comunicazione dei procuratori della Repubblica possa spingersi fino al punto di lasciare intendere che essi siano gli unici depositari della verità, e di evocare l’immagine del giudice che si discosti dalle ipotesi accusatorie come nemico o colluso. Con un tale agire, il pubblico ministero dismette il suo ruolo di primo tutore delle garanzie e dei diritti costituzionali – a partire dal principio di non colpevolezza – e assume quello di parte interessata solo al conseguimento del risultato, lontano dalla cultura della giurisdizione e dall’attenzione all’accertamento conseguito nel processo”.

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Persino a Magistratura Democratica non sono piaciute le dichiarazioni rilasciate venerdì scorso dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, al Corriere della Sera. Nell’intervista Gratteri non solo ha motivato le particolari tempistiche della sua ultima inchiesta antimafia facendo riferimento alla situazione politica del Paese (“Cesa ha detto no a Conte in tv”), ma ha anche avanzato strane allusioni nei confronti dei giudici che molto spesso annullano gli arresti chiesti dalla procura di Catanzaro (“La storia spiegherà anche queste situazioni”). Giudici collusi con la mafia? Chissà. La gravità dell’allusione, che rischia di turbare il lavoro dei magistrati chiamati a valutare la recente inchiesta, è stata colta anche dal gruppo di Magistratura Democratica, che con una dura nota ha criticato le parole di Gratteri definendole “un rischio per il libero dispiegamento della giurisdizione”: “Non crediamo che la comunicazione dei procuratori della Repubblica possa spingersi fino al punto di lasciare intendere che essi siano gli unici depositari della verità, e di evocare l’immagine del giudice che si discosti dalle ipotesi accusatorie come nemico o colluso. Con un tale agire, il pubblico ministero dismette il suo ruolo di primo tutore delle garanzie e dei diritti costituzionali – a partire dal principio di non colpevolezza – e assume quello di parte interessata solo al conseguimento del risultato, lontano dalla cultura della giurisdizione e dall’attenzione all’accertamento conseguito nel processo”.

 

Il ragionamento non fa una piega. Peccato che ad avanzare questa riflessione sia la corrente di magistrati che negli ultimi cinquant’anni ha agito da vero e proprio soggetto politico, con continue prese di posizione (alla faccia della terzietà della giustizia) e a volte non esitando ad alimentare gogne mediatiche sulla base di semplici indagini (si ricordi il caso Previti). Insomma, a ben vedere Gratteri sembra aver ereditato proprio alcuni tratti della tradizione militante e giustizialista di Md. L’ennesimo corto circuito di una vicenda sempre più surreale.

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