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La gogna secondo Cantone

Nessuna fuga di notizie sul caso Suárez, ma un ufficiale ha parlato troppo. Il procuratore di Perugia ci scrive

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Al direttore - Credo da sempre che la critica, anche dura, ai provvedimenti giudiziari sia non solo il sale della democrazia ma anche un fondamentale contrappeso all’esercizio di un’attività che impatta su diritti fondamentali dei cittadini. Essa, però, deve fondarsi – e lei me lo insegna – su fatti veri e indiscussi, per evitare di trasformarsi in illazioni o peggio ancora in mistificazioni. Nell’articolo apparso domenica sul suo giornale, dal titolo “La gogna dell’anno”, invece, si giunge a una sentenza di condanna “senza appello” e senza contraddittorio, sulla scorta di un esame sommario e “impreciso”, di un’indagine condotta dalla Procura che ho l’onore di dirigere, quella cioè sull’esame di lingua del calciatore sudamericano Suárez.

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Al direttore - Credo da sempre che la critica, anche dura, ai provvedimenti giudiziari sia non solo il sale della democrazia ma anche un fondamentale contrappeso all’esercizio di un’attività che impatta su diritti fondamentali dei cittadini. Essa, però, deve fondarsi – e lei me lo insegna – su fatti veri e indiscussi, per evitare di trasformarsi in illazioni o peggio ancora in mistificazioni. Nell’articolo apparso domenica sul suo giornale, dal titolo “La gogna dell’anno”, invece, si giunge a una sentenza di condanna “senza appello” e senza contraddittorio, sulla scorta di un esame sommario e “impreciso”, di un’indagine condotta dalla Procura che ho l’onore di dirigere, quella cioè sull’esame di lingua del calciatore sudamericano Suárez.

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So che questa mia affermazione può lasciare perplessi i suoi lettori; a scrivere il pezzo è una “penna” di grande qualità, molto ferrata nelle vicende giudiziarie (nel suo curriculum si legge “studioso di storia della magistratura”) con incarichi di insegnamento in una delle più importanti università private del Paese, espressione della classe dirigente, che fra l’altro leggo sempre con interesse e ammirazione. Secondo il prof Antonucci, in particolare, l’indagine in questione avrebbe “manifestato in un colpo solo tutte le distorsioni del circo mediatico-giudiziario, con risvolti persino più paradossali del solito” ciò in quanto essa sarebbe stata caratterizzata da “fuoriuscite di notizie coperte da segreto, interviste a raffica di ufficiali della polizia giudiziaria, pubblicazione di intercettazioni, sputtanamento delle persone coinvolte (anche se non indagate)”. Quattro “accuse” in apparenza gravissime, tali da rappresentare un colpo da ko alla credibilità dell’indagine e della procura.

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Sono assolutamente tranquillo, però, rispetto ad esse perché credo, grazie anche alla sua disponibilità, di poterle smentire per tabulas, a eccezione, in parte, di una soltanto. Mi riferisco alle “interviste a raffica di ufficiali della polizia giudiziaria”; è vero, infatti, che un unico ufficiale di polizia giudiziaria delegato all’indagine (e quindi il plurale è del tutto sbagliato) ha parlato troppo e fuori luogo quando furono fatte le perquisizioni; lo ha fatto, però, a titolo personale, senza essere stato autorizzato da nessuno (e certamente non dalla procura), il giorno in cui, fra l’altro, lasciava il comando perugino per andare a ricoprire un incarico cui era stato trasferito da tempo; di quell’improvvido comportamento l’ufficiale, che non si è occupato più delle ulteriori investigazioni, risponderà evidentemente nelle sedi deputate.

 

Sui restanti “capi di imputazione”, invece, i fatti sono andati in modo completamente diverso da come si è prospettato. Sia nella prima fase (quella delle perquisizioni di settembre) che in questa ultima (l’emissione dell’ordinanza interdittiva) non è “fuoriuscita” alcuna notizia coperta dal segreto; tutte le notizie vere apparse sui media erano contenute in atti (decreti di perquisizione e ordinanze cautelari e atti depositati a sostegno) pubblici, perché ritualmente depositati ai difensori in base all’art. 329 c.p.p. e quindi legittimamente pubblicabili. A proposito dell’audizione di Suárez, poi, essa è divenuta di dominio pubblico perché svoltasi in videoconferenza e in un’aula di udienza, in presenza anche del suo difensore; sui contenuti di essa, però, le informazioni emerse sono il frutto di deduzioni, nemmeno corrette, di giornalisti, mai confermate da nessuno. Sono talmente convinto delle affermazioni che non ho timore di sfidare pubblicamente l’ottimo Antonucci a citarmi un caso specifico di fuoriuscita di notizie (vere) coperte da segreto!

 

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L’articolista poi a tal fine per evidenziare che l’indagine sarebbe stata una gruviera ricorda una mia decisione di “bloccare le indagini”, avvenuta a settembre; in realtà, come ebbi a precisare già all’epoca, non ho mai bloccato alcuna indagine; ho semplicemente chiesto ai valentissimi colleghi che le conducono di riprogrammare alcuni atti istruttori per evitare che si ripetessero gli episodi di testimoni “braccati” dai giornalisti, che legittimamente stazionavano in luoghi pubblici, fuori della procura. Che quel provvedimento sia stato efficace è stato dimostrato dai successivi avvenimenti; sono stati tantissimi gli accertamenti anche delicati svolti in questi mesi di cui nessuno ha avuto notizia.

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Quanto, invece, alla “pubblicazione delle intercettazioni”, ci si accusa di non aver rispettato la recente riforma Orlando/Bonafede, sia perché sarebbero stati pubblicati stralci di colloqui sia perché sarebbero state utilizzate intercettazioni nate per altri fini. Anche questa “imputazione” è facilmente dimostrabile come destituita di fondamento. L’indagine ha avuto sì origine da intercettazioni nate per altri fini, ma non appena sono emersi gli elementi relativi ai nuovi reati sono state richieste dai sostituti delegati nuove intercettazioni relative a queste imputazioni, regolarmente autorizzate dal giudice. Quindi nessun utilizzo indebito, e non lo dico io ma il giudice che ha valutato le intercettazioni e le ritenute pienamente utilizzabili. Nessuna pubblicazione di colloqui illegittima, inoltre, vi è stata; così come dispone la norma, che il prof Antonucci richiama solo in parte (l’art. 291, comma 1 ter c.p.p.), sono stati, infatti, “riprodotti i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate”. Ed anche questa considerazione non è mia ma del giudice che ha ritenuto corretta la riproduzione operata, non avendo affatto adottato, la misura pure prevista dalla riforma Orlando/Bonafede (art. 92, comma 1 bis disp. att. c.p.p), di restituire al p.m. le intercettazioni non rilevanti o inutilizzabili.

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Resta da ultimo la più capziosa delle accuse, cioè, absit iniuria verbis, lo “sputtanamento delle persone coinvolte (anche se non indagate)”, che sarebbe avvenuto per essere state depositate agli atti delle richieste di misura interdittiva le dichiarazioni di alcune persone note, operanti presso due ministeri del governo. Mi verrebbe di rispondere al prof Antonucci con una domanda; che cosa avrebbe dovuto fare la procura? Forse, occultare prove indispensabili per la ricostruzione dei fatti, solo perché erano stati sentiti soggetti noti e pubblici? Sono certo che lo stesso estensore dell’articolo concorderebbe con me nel ritenere che qualunque “occultamento” di prove rischierebbe di rappresentare un ritorno ai riti dell’inquisizione medievale quando agli inquisiti non venivano rese note le fonti di prova e si accettava fideisticamente la tesi degli inquisitori. Le dichiarazioni rese dai testimoni sono fra l’altro state riportate con la precisazione che chi le aveva rese si era comportato secondo i canoni della correttezza processuale e che nei loro confronti nessun illecito era ipotizzabile.

 

Quindi altro che “sputtanamento”! Nel salutare cordialmente lei e il prof Antonucci, mi lasci fare un’ultima considerazione, che riguarda un tema nemmeno sfiorato nell’articolo che abbiamo discusso; questa indagine meritava di essere fatta o no? La mia risposta è senza tentennamenti: sì; così come credo fermamente che bisogna rispettare i diritti degli imputati, bisogna ugualmente sottostare al dovere costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale; è emersa una notizia di reato e doverosamente abbiamo avviato l’indagine, E sulla bontà di quest’ultima, aggiungo che non posso che concordare con l’ottimo articolista; ferma restando la legittimità di tutte le critiche, spetterà ai giudici l’ultima parola; a oggi mi sembra giusto, però, spezzare una lancia a favore dei colleghi sostituti che hanno lavorato giorno e notte; uno dei quattro indagati ha chiesto di patteggiare la pena; so benissimo che questa richiesta non è una ammissione di responsabilità ma dimostra, quantomeno, che non ci siamo inventati nulla e che non abbiamo messo in campo alcuna gogna mediatica ma abbiamo soltanto provato a perseguire reati previsti dal codice penale.

Raffaele Cantone

 


Risponde Ermes Antonucci

 

Ringrazio il procuratore Cantone per gli attestati di stima, che ricambio (anche se preciso di non svolgere alcuna attività di insegnamento, ma di semplice ricerca), e per la sua lunga lettera di chiarimenti, alla quale rispondo brevemente per ragioni di spazio. Come sarà evidente ai nostri lettori, il dott. Cantone nella sua lettera replica a una serie di “accuse” che l’articolo in realtà non ha mai mosso nei suoi confronti. L’articolo si è limitato a descrivere gli eventi che hanno caratterizzato la vicenda Suárez e in particolare l’incredibile (e palese) cortocircuito mediatico-giudiziario che si è generato intorno a essa, causato da comportamenti tenuti sia da soggetti appartenenti agli ambienti giudiziari sia, e soprattutto, dagli organi di informazione.

 

Prendiamo atto della precisazione secondo cui nel corso delle indagini non c’è stata alcuna fuga di notizie e di intercettazioni poi pubblicate sui giornali, anche se – lo ricordiamo – fu lo stesso Cantone a prendere la decisione (senza precedenti) di sospendere momentaneamente le indagini perché, disse, “era diventata un po’ eccessiva la fuga di notizie su tutto quello che stava avvenendo”.

 

Colpiscono ancor di più le parole con cui il dott. Cantone riconosce la particolare disinvoltura mediatica dell’ufficiale di polizia giudiziaria che si è occupato delle indagini. Sapere che un ufficiale di pg si sia comportato in un certo modo “a titolo personale, senza essere stato autorizzato da nessuno (e certamente non dalla procura)”, come afferma Cantone, non ci conforta, ma probabilmente non conforta lo stesso procuratore, al quale spetta il compito di coordinare le attività di indagine. Auguri di buon lavoro.

 

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