PUBBLICITÁ

Il caso Regeni e la supplenza dei pm

Salvatore Merlo

Anche nella vicenda dell'omicidio del ricercatore italiano in Egitto l’unica iniziativa dello stato non è politica ma giudiziaria. Parlano Manconi e Violante

PUBBLICITÁ

La politica che abdica e la magistratura che prova a metterci una pezza. E’ una costante italiana, che nel caso dell’omicidio di Giulio Regeni in Egitto assume caratteri di tragedia se non di capitolazione nazionale. L’unica iniziativa chiara dello stato italiano di fronte all’evidenza di un delitto di regime, l’assassinio di un concittadino di ventotto anni, è l’indagine della procura di Roma che avanza zoppicando nel torpore e nella vigliaccheria dello stato egiziano, tra osceni tentativi di insabbiamento, atti diffamatori nei confronti della vittima e perniciosi silenzi del governo di Roma.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


La politica che abdica e la magistratura che prova a metterci una pezza. E’ una costante italiana, che nel caso dell’omicidio di Giulio Regeni in Egitto assume caratteri di tragedia se non di capitolazione nazionale. L’unica iniziativa chiara dello stato italiano di fronte all’evidenza di un delitto di regime, l’assassinio di un concittadino di ventotto anni, è l’indagine della procura di Roma che avanza zoppicando nel torpore e nella vigliaccheria dello stato egiziano, tra osceni tentativi di insabbiamento, atti diffamatori nei confronti della vittima e perniciosi silenzi del governo di Roma.

PUBBLICITÁ

 

“Quando nel 2017, per l’esattezza il 14 agosto del 2017, l’Italia fece rientrare in Egitto il nostro ambasciatore, si disse che lo si faceva perché questo avrebbe incentivato la cooperazione giudiziaria”, ricorda al Foglio Luigi Manconi. “Si disse che il ritorno del nostro ambasciatore nella capitale egiziana avrebbe consentito relazioni più strette e dunque rapporti più efficaci tra la procura del Cairo e la procura di Roma. Cosa che non è accaduta. Non è accaduta affatto. Anzi. E’ stato proprio il contrario. Gli esempi sono mille. Ci sono voluti due anni – due anni! – per avere il video delle telecamere collocate sulla piazza da dove è scomparso Giulio Regeni. E quando questi video sono poi finalmente arrivati in Italia, presentavano buchi enormi, vuoti, assenze d’immagini. Dunque quello che si evidenzia è proprio questo: l’abdicazione del governo. Totale. Perché dal ritorno del nostro ambasciatore in Egitto non è che a quel punto si sono attuate forme diverse, più intelligenti e meno aggressive di pressione. Forme di convincimento. No. Nulla”. E allora solo la magistratura agisce. Tra mille ostacoli. In supplenza.

 

PUBBLICITÁ

Come succede per la legge sul fine vita, come sulla cannabis, come sulla natura giuridica delle fondazioni politiche. Il governo non c’è. La politica non decide. E i magistrati si muovono. “La questione è che l’azione penale non conosce bilanciamento, mentre il potere politico sì”, dice Luciano Violante. “Esiste la ragion di stato, di cui la magistratura può non tener conto. Macron per esempio insignisce il presidente Egiziano al Sisi della Legion d’onore, e lo fa probabilmente per ragioni economiche. Quindi nel terribile caso di Giulio Regeni la domanda è: fino a che punto si può bilanciare una vita umana? Machiavelli, parlando del Valentino, ammetteva che il suo Principe aveva commesso orrori. Poi però aggiungeva: ‘Nondimanco unificò la Romagna che era divisa’. Ecco, il ‘nondimanco’ è un avverbio essenziale in politica”, conclude Violante. Che aggiunge: “Bisogna però essere prudenti nei giudizi. Il silenzio non è sempre ‘inesistenza’, nelle azioni politiche. Che si stia zitti non vuol dire che non si stia procedendo. E in questa vicenda ci sono cose che non sappiamo, probabilmente”.

 

Eppure, ha scritto Giuliano Ferrara sul Foglio, uno stato serio e responsabile come l’Italia, malgrado l’interscambio commerciale, malgrado l’estrema delicatezza degli equilibri nell’area mediterranea, malgrado l’Eni, malgrado tutto, dovrebbe imporre all’Egitto una minima misura di rispetto. Ritirare le credenziali all’ambasciatore di al Sisi a Roma, esprimersi in modo univoco per il congelamento delle relazioni bilaterali, pretendere in Europa sanzioni mirate e proporzionate alla gravità dell’offesa, e non ultimo: appoggiare le indagini della procura di Roma. “Sin dall’inizio ci è stata presentata quella puerile alternativa per cui noi saremmo stati gli idealisti, i cultori dei diritti umani incapaci di comprendere la ragion di stato e quella categoria fondamentale che è il realismo politico”, dice Manconi. “Il risultato di questo realismo politico straccione è che dal 2016 a oggi l’Italia non ha esercitato la più esile pressione nei confronti del regime di al Sisi. Ora i magistrati stanno facendo un grandissimo lavoro. Ma se tutto è demandato a loro, che succederà qualora l’inchiesta dovesse deragliare di fronte ai troppi depistaggi?”. Il silenzio. Il nulla. Le chiacchiere e le ipocrisie intorno al cadavere di un italiano di ventotto anni. “La magistratura sta facendo il suo dovere. Benissimo”, conclude Manconi. “Ma se la politica abdica, anche l’azione della magistratura è indebolita”. La supplenza, che resta la spia di un problema, non è sempre possibile. 

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ