PUBBLICITÁ

L'infinito processo d'appello sulla Trattativa

Riccardo Lo Verso

I vasi comunicanti della giustizia scaricano al Tribunale di Palermo una montagna di atti giudiziari. Davanti alla Corte di assise presieduta da Angelo Pellino accusa e difesa si ritrovano da un anno e mezzo. E c'è una nuova montagna di atti da studiare

PUBBLICITÁ

Quante pagine saranno? Dieci, o forse ventimila. Una montagna di atti giudiziari viene acquisita al processo d'appello di Palermo sulla Trattativa stato-mafia. È il principio dei vasi comunicanti applicato alla giustizia. Il fascicolo si arricchisce ogni volta di più delle carte di altri processi, celebrati a Palermo e altrove. Per la precisione a Reggio Calabria, dove è stato condannato all'ergastolo il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, quale mandante degli attentati, commessi fra il '93 e il '94, che costarono la vita ai brigadieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo. I piani di morte facevano parte, secondo l'accusa, di una più ampia strategia eversiva che comprendeva le stragi del '92 e '93.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Quante pagine saranno? Dieci, o forse ventimila. Una montagna di atti giudiziari viene acquisita al processo d'appello di Palermo sulla Trattativa stato-mafia. È il principio dei vasi comunicanti applicato alla giustizia. Il fascicolo si arricchisce ogni volta di più delle carte di altri processi, celebrati a Palermo e altrove. Per la precisione a Reggio Calabria, dove è stato condannato all'ergastolo il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, quale mandante degli attentati, commessi fra il '93 e il '94, che costarono la vita ai brigadieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo. I piani di morte facevano parte, secondo l'accusa, di una più ampia strategia eversiva che comprendeva le stragi del '92 e '93.

PUBBLICITÁ

 

Al processo sulla Trattativa confluiscono i verbali delle udienze in cui Graviano ha sfruttato al meglio forse l'ultima occasione per stare sul palcoscenico. Mesi fa decise di rispondere alle domande della pubblica accusa. Che show quando parlò di quel “traditore” di Silvio Berlusconi con cui prima faceva affari e che poi lo avrebbe fatto arrestare. Fu un crescendo di emozioni, udienza dopo udienza. Anche perché lo storytelling di Graviano era partito da parecchio lontano, spingendosi fino a riscrivere la storia della sbarco dei Mille e di Garibaldi in Sicilia. C'è sempre stato un punto fermo nella narrazione di Graviano, però: negare di essere un criminale, figuriamoci uno stragista, e di avere fatto ammazzare padre Pino Puglisi. Già questo dovrebbe bastare per spegnere le telecamere. Non un boss ma uomo perbene, insomma, sulla cui vita, è stato lo stesso Graviano ad annunciarlo in aula, qualcuno sta scrivendo un libro attingendo dalle carte giudiziarie. Dovrebbe intitolarsi “Madre natura”, dal soprannome di Graviano negli ambienti criminali. Quasi quasi si poteva attendere la stesura finale per acquisire pure il libro.

 

PUBBLICITÁ

Il principio dei vasi comunicanti riversa su Palermo gli atti dei processi sulle stragi del '92 in corso a Caltanissetta (quelli in cui la magistratura ha rimediato una magra figura dimostrando, nella migliore (?) delle ipotesi, di essersi fatta ingannare da un manipolo di falsi pentiti). Ed ancora gli atti del processo sull'omicidio dell'agente di polizia Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio trucidati 31 anni fa. Il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato ha avocato a sé le indagini dopo diverse richieste dii archiviazione avanzate dai colleghi della Procura, chiedendo il processo dei boss Antonino Madonia e Gaetano Scotto.

 

Come in tutte le storie di mafia ci si sono i pentiti, che dovrebbero agevolare il lavoro ma che finiscono per complicarlo per via delle loro tardive illuminazioni nella memoria a rate.

 

Alcuni collaboratori dicono che Agostino fu ucciso perché dava la caccia ai latitanti, divenendo così uno dei più pericolosi nemici per Totò Riina e per i Madonia, che dei corleonesi erano alleati. Altri collaboratori hanno indicato una seconda causale. Agostino faceva parte di una squadra speciale con incarichi delicati, tra cui quello di scortare un supertestimone interrogato dal giudice Giovanni Falcone, e cioè l’ex estremista di destra Alberto Volo. Volo raccontò a Falcone della pista neofascista per l’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, e ammise di fare parte a una struttura legata ai servizi segreti simile a Gladio. Ed ecco il tema del piano eversivo sondato a Reggio Calabria e di cui si sentirà ancora parlare in nuove indagini e processi, sul filo della stessa trama che alimenta i vasi comunicanti. Un caos programmato, una palude di intrecci oscuri, sbirri, spioni e spie con il patentino, di agenti dei Servizi che per anni sono stati segreti e deviati, e di recente sono diventati pure libici. A collaboratori stagionati come Pietro Riggio e Francesco Di Carlo è venuto in mente che agenti segreti libici avrebbero partecipato alla strage di Capaci.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Migliaia di pagine, dunque, vanno a ingrossare il fascicolo sulla Trattativa. Le leggeranno gli avvocati delle difese e i giudici, popolari e non.

 

PUBBLICITÁ

Quanto tempo ci vorrà? Il tempo è una variabile, tanto importante quanto schizofrenica, in un processo. Le vicende di Palermo lo confermano. L'indagine sul presunto patto fra i boss e i rappresentanti delle istituzioni è approdata alla fase processuale nel luglio del 2012 quando gli atti furono trasmessi dalla Procura al giudice per le indagini preliminari. Il rinvio a giudizio dei dieci imputati fu deciso il 7 marzo 2013. Gli imputati, fra cui l'ufficiale dei carabinieri Mario Mori, sono stati condannati in primo grado nell'aprile 2018. Il processo di appello, davanti alla Corte di assise presieduta da Angelo Pellino, va avanti da un anno e mezzo. E c'è una nuova montagna di atti da studiare.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ