Perché sulla giustizia Salvini si gioca il futuro (e il Pd l'osso del collo)

Claudio Cerasa

Le scelte del governo su prescrizione e intercettazioni potrebbero consentire al leader della Lega di abbandonare il giustizialismo e costruire un salvinismo meno urlato

Tra le molte idee confuse messe insieme ieri a Pontida da un sempre più frastornato Matteo Salvini, quella meno confusa, e forse persino più convincente, riguarda un argomento sul quale (assieme alla truffaldina ma astuta mossa maggioritaria sul referendum) il leader della Lega potrebbe provare a costruire un’opposizione responsabile al governo rossogiallo.

 

L’argomento in questione riguarda i temi della giustizia. E per quanto Matteo Salvini possa essere poco credibile come capo di un partito attento ai temi del garantismo – è stata la Lega ad aver trasformato ogni migrante in un potenziale criminale, è stata la Lega ad aver trasformato ogni ong in un potenziale veicolo di malaffare – gli equilibri che si sono andati a formare all’interno del nuovo esecutivo in materia di giustizia lasciano all’ex ministro dell’Interno una prateria politica che potrebbe essere percorsa con grande facilità.

 

Per Salvini, la giustizia potrebbe essere una croce, e chissà che fine potrebbe fare il leader della Lega se le indagini su Savoini dovessero ingrossarsi, se i casi Diciotti dovessero essere riportati in Parlamento e se dalla procura di Roma dovesse emergere una qualche novità sul modo in cui la Lega ha gestito i soldi in questi anni. Ma potrebbe essere anche una delizia se il Partito democratico accetterà, come purtroppo sembra, di trasformare in un valore negoziabile la cultura garantista e il rispetto dello stato di diritto.

 

Nel suo discorso alle Camere, il presidente del Consiglio ha promesso che il governo lavorerà presto a una riforma che permetterà di accelerare i tempi dei processi, e ne siamo ovviamente contenti, ma come lo stesso presidente del Consiglio dovrebbe riconoscere non c’è possibilità di creare una nuova fiducia nel paese se il governo non si rimangerà al più presto possibile una delle riforme più pericolose approvate dal vecchio governo: l’abolizione della prescrizione.

 

Negli scorsi mesi, oltre 150 accademici di tutte le università italiane hanno sottoscritto insieme con le Camere Penali un appello al presidente della Repubblica per denunciare i gravi profili di incostituzionalità presenti nella legge e con una buona dose di coraggio qualche giorno fa un deputato del Pd, Alfredo Bazoli, ha suggerito al governo, dalle pagine del nostro giornale, di compiere subito un atto coraggioso: rinviare l’entrata in vigore della riforma della prescrizione per non lavorare con una spada di Damocle sulla testa (la legge che blocca la prescrizione entrerà in vigore il primo gennaio del 2020) e mettere mano in maniera organica alla riforma del processo penale.

 

La scelta compiuta dal Pd di accettare continuità nel ministero dove il grillismo ha fatto più danni (la giustizia, con il ministro Alfonso Bonafede) segnala un rischio che il partito guidato da Nicola Zingaretti farebbe bene a evitare (fondare la cultura democratica con quella grillina) e non aver posto alcun paletto ferreo sul tema della giustizia giusta è una scelta che potrebbe permettere clamorosamente a Salvini di togliersi di dosso le scorie del giustizialismo leghista (l’abolizione della prescrizione è stata votata anche dalla Lega) e di scommettere così anche sui temi della giustizia per tentare di intestarsi la guida di un centrodestra meno estremista e più moderato.

  

Specie se poi il governo, sempre sui temi della giustizia, dovesse compiere un altro atto scellerato: non solo non sospendere la prescrizione (basta un decreto) ma sospendere un’altra legge (giusta) sulle intercettazioni (costruita per mettere un freno alla fogna del circo mediatico-giudiziario) che entrerà in vigore sempre il primo gennaio del 2020 e che coincide con la riforma sulle intercettazioni varata nel 2017 dall’allora Guardasigilli Andrea Orlando.

 

Sulla giustizia, il Pd si gioca l’osso del collo. Sulla giustizia, Salvini, se non verrà condannato dal suo passato, si gioca il suo futuro e si gioca la possibilità di costruire un salvinismo meno urlato e meno isterico rispetto a quello visto fino a oggi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.