Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, confermato anche nel Conte bis (foto LaPresse)

Conte e la giustizia che non c'è

Ermes Antonucci

Nel discorso del premier solo trenta secondi dedicati a questo argomento. Nessun accenno alla riforma approvata dai gialloverdi che abolisce la prescrizione dopo una sentenza di primo grado e che entrerà in vigore il primo gennaio 2020

Trenta secondi. E’ il tempo che il premier Giuseppe Conte ha dedicato alla riforma della giustizia durante il suo discorso programmatico di un’ora e venticinque minuti pronunciato alla Camera. Trenta secondi in cui Conte si è limitato a leggere lo scarno rigo e mezzo dedicato alla giustizia contenuto nella bozza del programma di governo M5s-Pd, sottolineando la necessità di “una riforma della giustizia civile, penale e tributaria, anche attraverso una drastica riduzione dei tempi, e una riforma del metodo di elezione dei membri del Consiglio superiore della magistratura”, con la piccola aggiunta di un messaggio distensivo rivolto alle toghe: “Questo piano riformatore dovrà salvaguardare il fondamentale principio di indipendenza della magistratura dalla politica”. Insomma, il governo rosso-giallo è nato, ma ancora non è chiaro come i due partiti di maggioranza intendano intervenire su un terreno così delicato e scivoloso come quello della giustizia, in particolare attorno alla riforma approvata dal precedente governo che abolisce la prescrizione dopo una sentenza di primo grado, e che entrerà in vigore il primo gennaio 2020.

 

Ciò che è certo, però, è che negli ultimi giorni sono aumentati i (preoccupanti) segnali di apertura del Pd al M5s proprio sulla riforma della prescrizione. Sabato scorso in un’intervista alla Stampa, il vicesegretario del Pd (ed ex ministro della Giustizia) Andrea Orlando ha definito “un errore” la drastica cancellazione della prescrizione, aggiungendo però che “dentro un percorso processuale si possono trovare equilibri compensando con altre garanzie”. Il giorno prima, il capogruppo Pd in Commissione Giustizia alla Camera, Alfredo Bazoli, aveva auspicato intervistato dal Foglio il rinvio dell’entrata in vigore della prescrizione in salsa grillo-leghista (“non possiamo lavorare con questa spada di Damocle sulla testa”), ma aveva anche lasciato intendere che nel caso in cui nei prossimi mesi si riuscisse ad approvare una riforma complessiva del processo penale, in grado di garantire tempi brevi e certi ai procedimenti, allora i dem potrebbero anche accettare di mantenere la “bomba nucleare” (come la definì il ministro Bongiorno) della revisione della prescrizione, che a quel punto sarebbe teoricamente disinnescata. Magari con qualche correttivo che preveda, ad esempio, la sua applicazione solo in caso di condanna dell’imputato.

 

Un simile scenario, però, darebbe vita a una contraddizione forse ancora più grande: se i processi in Italia diventassero finalmente rapidi ed efficienti, abolire la prescrizione avrebbe ancora meno senso, dato che la sua funzione sarebbe proprio quella di intervenire per “sanare”, dal punto di vista del diritto, i pochi casi di processi che dovessero protrarsi per tanti anni, oltre una durata ragionevole. Senza dimenticare che per definire una riforma veramente radicale del processo penale, capace di “disinnescare” la bomba della prescrizione, i dem dovrebbero convincere i grillini (e l’Associazione nazionale magistrati) a intervenire su alcune distorsioni della giustizia che chiamano in causa l’operato delle toghe (dalle priorità nell’esercizio dell’azione penale all’iscrizione effettiva delle persone nel registro degli indagati).

 

Chi nel frattempo mantiene una linea dura sulla prescrizione è l’Unione delle Camere Penali, che in vista del voto di fiducia al governo ha inviato una lettera a tutti i parlamentari nella quale si ribadisce che la “sostanziale abolizione” dell’istituto rappresenta “un vulnus profondo ai principi costituzionali del giusto processo”. “La prescrizione è istituto di garanzia, necessario anche per determinare la ragionevole durata del processo, a tutela non solo dell'imputato ma anche della persona offesa”, affermano i penalisti nella lettera, ricordando tra l’altro che oltre 150 accademici di tutte le università italiane hanno sottoscritto un appello al presidente della Repubblica in occasione della promulgazione della legge segnalandone i gravi profili di incostituzionalità.

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