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Cosa non torna nelle fantasiose accuse di mafia al sindaco di Riace

Luca Gambardella

"Se quello di Lucano fosse stato un contrasto fastidioso per la criminalità organizzata non credo che sarebbe riuscito a portarlo avanti". Le ipotesi (senza prove) del pm di Locri, Luigi d'Alessio

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“Non pensa che un sistema di accoglienza come quello del sindaco Lucano fosse un contrasto agli interessi della criminalità organizzata di stampo mafioso sul settore?”, ha chiesto ieri l’agenzia LaPresse al procuratore di Locri, Luigi d’Alessio, poco dopo l’arresto del sindaco di Riace, Domenico Lucano. E forse, mai come oggi, si può dire che lo Sventurato rispose: “Sul discorso del contrasto e della estraneità della mafia, sinceramente, non posso che essere prudente. Siamo ancora in una fase in cui non è emerso nulla, né in un modo né nell'altro. Se quello di Lucano fosse stato un contrasto fastidioso per la criminalità organizzata di stampo mafioso non credo che sarebbe riuscito a portarlo avanti, che glielo avrebbero fatto fare".

  

Non sono parole inedite quelle pronunciate da d’Alessio (che qualche riga dopo, nella stessa intervista, prova a difendersi dalle accuse di “metodo fascistoide” rivolte negli ultimi due giorni alla procura). Ricordano quanto disse solo pochi mesi fa un altro procuratore, Carmelo Zuccaro, il pm di Catania titolare di un filone dell’inchiesta sui presunti legami tra ong e trafficanti di esseri umani. “Quando io parlo di prove intendo prove giudiziarie, da poter portare in un dibattimento – aveva dichiarato Zuccaro a Repubblica lo scorso 28 aprile –. Queste prove non le ho, ma ho la certezza, che mi viene da fonti di conoscenza reale ma non utilizzabile processualmente”. “Adesso faccio ipotesi e ne parlo, ma prima dovrei fare degli accertamenti”. Per la cronaca, l’inchiesta di Zuccaro si è risolta con un’archiviazione, stesso destino capitato anche all’altro filone delle indagini, quello palermitano, archiviato su richiesta della stessa procura.

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Anche se il metodo “non ho le prove, ma ne parlo” finora ha portato a pochi risultati giudiziari, ha invece contribuito a incendiare ancora di più il dibattito politico sull’accoglienza dei migranti. Ecco allora che mentre il governo gialloverde è nel pieno della sua campagna a favore dei respingimenti, dove la linea dura del ministro dell’Interno Matteo Salvini rivaleggia con realtà come la Riace del sindaco Lucano, arrivano le parole di d’Alessio, su un ipotetico e non provato collegamento tra la criminalità organizzata e il sistema d’accoglienza del piccolo comune calabrese.

 

Sia nel caso di Zuccaro sia in quello di d’Alessio il sistema, ormai rodato, funziona più o meno così: la procura non ha le prove necessarie per dimostrare un reato, ma nel frattempo rilascia interviste e divulga mere “ipotesi di lavoro” (la citazione è dello stesso Zuccaro, intervenuto così nel maggio scorso in Parlamento, in Commissione antimafia). Nel caso del pm di Locri c’è anche un passaggio successivo. Dopo che il procuratore ha lanciato il sasso, arriva il passo di lato: "L'uso politico che può essere fatto della notizia non è compito mio, e nemmeno prevederlo. Non sta a me dettare la linea politica. Io porto avanti un discorso di legalità e di rispetto delle norme”.

 

Prima di arrivare a Locri Luigi d’Alessio era procuratore a Salerno, ed è lì che nel 1992 fu tra i protagonisti del pool che condusse le indagini sulla “Fondovalle Calore”, la cosiddetta “tangentopoli salernitana”. Gli imputati furono tutti condannati, con una vittoria netta dell’accusa guidata da d’Alessio. “Mai un eccesso nel suo modo di porsi in aula – scrisse di lui Aldo Bianchini sul Quotidiano di Salerno – così come nella riservatezza del suo ufficio al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Salerno. Un magistrato che è stato un vero esempio di come tutti i magistrati dovrebbero essere anche quando è necessario fare un passo indietro”. Nel caso di Riace la richiesta della procura è stata stralciata in buona parte. Le accuse formulate da d’Alessio erano assai più pesanti: associazione per delinquere, truffa aggravata, falso, concorso in corruzione, malversazione e abuso d’ufficio, ma il giudice delle indagini preliminari non le ha accettate. Il pm ha già annunciato ricorso ma, già che c’era, ha deciso che era giunto il momento di derogare alla “riservatezza del suo ufficio”.

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