Carmelo Zuccaro (foto LaPresse)

Ma non ho le prove. Il pasolinismo di Zuccaro

Luciano Capone

Con le Ong, il procuratore mostra il metodo chiave della cultura giustizialista: “Non si può escludere”. Il caso al Csm

In principio era Pier Paolo Pasolini: “Io so, ma non ho le prove”, scriveva sul Corriere negli anni di piombo. Poi, si parva licet, Antonio Ingroia, che ha trasformato le inchieste in saggistica sugli anni del berlusconismo: “Io so”, ha scritto in un libro. Con Carmelo Zuccaro, procuratore di Catania, il pasolinismo ha completato la sua trasformazione da denuncia giornalistica a metodo d’indagine giudiziaria.

 

Anche Zuccaro sa che le Ong che operano nel Mediterraneo sono in combutta con gli scafisti e anche lui non ha le prove. “Ma un procuratore che vede e sa queste cose – ha detto il magistrato – che fa? Non ne parla?”, figurarsi. E’ solo per la gravità della situazione che ha fatto “una deroga” al suo proverbiale riserbo: “Da magistrato, ho il preciso dovere di denunciare un gravissimo fenomeno criminale”, ha detto in una delle tante interviste di questi giorni. L’obiettivo è accendere i riflettori per fare chiarezza. “Che ci siano alcune Ong che abbiano contatti con in Libia è un fatto, ma non una prova”, c’è un’intercettazione di una comunicazione radio in arabo, che però è di un servizio segreto e non si può usare. Ma c’è dell’altro. Zuccaro ritiene che le organizzazioni umanitarie possano essere addirittura finanziate dai trafficanti: “E’ possibile ma è solo un’ipotesi che al momento non ha riscontro”. Parla così il procuratore: “Non lo posso escludere, ma non lo posso neanche sostenere”. E chi lo può sapere? Non ci sono prove, non ci sono riscontri, ma metti che è vero? Può un magistrato, pur così riservato, stare in silenzio? Certo che no. E infatti c’è un’ipotesi ancora più grave: “Potrebbe anche essere, e sarebbe più inquietante, che queste Ong perseguono finalità di destabilizzazione dell’economia italiana – ha detto in tv ad Agorà il magistrato – Chi volesse speculare su una situazione di debolezza economica dell’Italia incrementata da un afflusso di migranti incontrollato ne avrebbe dei vantaggi”. Siamo di fronte a un complotto finanziario internazionale che farebbe impallidire le inchieste della procura di Trani sulle agenzie di rating, ma Zuccaro mette le mani avanti: “Adesso faccio ipotesi e ne parlo, ma prima dovrei fare degli accertamenti”. Il pm dovrebbe fare degli accertamenti, di questo ne sono tutti convinti, ma nel frattempo, con tutte queste cose che gli frullano nella testa, può starsene muto? Sarebbe imprudente. Sullo sfondo c’è un aspetto ancora più inquietante: oltre alla collaborazione tra Ong e scafisti su cui non ci sono prove e oltre ai finanziamenti degli scafisti alle Ong su cui non ci sono riscontri, c’è l’aspetto dei soldi al terrorismo: “Riteniamo – ha detto Zuccaro un mese fa in audizione alla Camera – che una parte dei proventi del traffico di migranti clandestini finisca nelle mani di organizzazioni militari o paramilitari, e tra queste non si possono escludere organizzazioni collegate con il mondo del terrorismo”. Ma anche stavolta “non abbiamo indicazioni documentali certe”.

 

Sempre alla Camera il procuratore di Catania (il cui caso finirà al Csm mercoledì 3 maggio, come annunciato ieri dal vicepresidente Giovanni Legnini) si è detto “convinto” che le navi delle Ong non vengano contattate dalla centrale operativa, ma chiamate direttamente dalle spiagge libiche. Ci sono prove? “Ecco, questo è il punto: non è stato provato, ma non è stato neanche escluso”. E chi potrebbe escluderlo? Al di là di questi dettagli, la questione fondamentale resta una: “Qual è la volontà che anima le Ong?”, si è chiesto il pm durante l’audizione alla Camera. Ovviamente la prima ipotesi che gli viene in mente è quella di un “consapevole accordo” con i trafficanti. Ma anche questa “che è sicuramente l’ipotesi peggiore, non dà al momento alcun riscontro”.

 

Con tutte queste cose che sa, e di cui non ha una prova, un magistrato pur riservato come Zuccaro poteva mai starsene zitto?

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali