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EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Ognuno ha il suo ruolo nell’Ue, quello dei Baltici è insistere

Paola Peduzzi e Micol Flammini

L’Estonia di Kaja Kallas va al voto e la guerra in Ucraina fa da sfondo. Racconto pre elettorale con una guida d’eccezione: Vytautas Landsbergis

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L’Europa vista dal Baltico è una tavola lunga, spaziosa, in cui accomodarsi e cambiare, in meglio, il mondo. E’ anche un bastione contro le autocrazie, al quale – sempre dalla prospettiva baltica – ogni tanto salta un mattone, si smussa un angolo, e allora ecco che bisogna  procedere alla ristrutturazione. Non è un grosso sforzo, ma bisogna riconoscere quando farlo e poi farlo tempestivamente. L’Ucraina vista dal Baltico è l’antemurale di questa struttura europea. Anche questo antemurale va rafforzato, curato, sostenuto, altrimenti potrebbe crollare e se crolla, dopo, bisogna vedersela direttamente con quello che i baltici temono da sempre: l’imperialismo del Cremlino. Vytautas Landsbergis ha trascorso gran parte della sua vita a curare l’Europa e prima ancora a rendere il suo paese, la Lituania, libera dall’occupazione russa. Ci ha lavorato con i suoi vicini, i lettoni e gli estoni, e il risultato non è stato soltanto la magnifica catena baltica piena di bandiere e canti con cui nell’agosto nel 1989 i baltici videro che contro il regime erano tantissimi, ma anche l’ostinato movimento di liberazione e indipendentismo che permise alla Lituania, con sangue e dolore,  di diventare indipendente dall’Urss. Vilnius fu la prima a uscire dall’Unione sovietica, poi arrivarono anche Riga e Tallinn, e insieme, dall’inizio dell’invasione russa contro Kyiv, non smettono di ricordare a Bruxelles cosa c’è in gioco. Landsbergis ha novant’anni – oggi suo nipote Gabrielius è ministro degli Esteri – è stato il primo presidente della Lituania indipendente e tra la Russia di ieri e quella di oggi vede poche differenze: “Putin è la guerra. Così era l’Urss stalinista e così è la sua erede, la Russia putinista”, ci ha detto.

 

L’alleanza occidentale funziona non soltanto perché crede nei suoi valori, ma perché tutti si sono divisi i compiti: gli Stati Uniti fanno da guida, i tedeschi fanno i pragmatici, i francesi i dialoganti e i baltici, insieme alla Polonia e anche alla Gran Bretagna,  svegliano, richiamano, urlano: siamo pronti a tutto pur di salvare l’Ucraina e con lei il nostro mondo. Landsbergis ha diverse critiche da muovere, dice che “il duo franco-tedesco adesso non è più il cuore dell’Europa” e non si accontenta di quello che ha fatto Bruxelles finora: “L’Ue ancora non è cambiata abbastanza, almeno non nelle fondamenta”. Landsbergis è stato  eurodeputato e a Bruxelles ha cercato di sensibilizzare i suoi colleghi, spiegando quanto la Russia fosse una minaccia, insistendo che l’Ue fosse  troppo indulgente nei confronti del passato sovietico e della sua simbologia, che, secondo Landsbergis, avrebbe dovuto essere equiparata a quella nazista. E’ rimasto spesso deluso dalla mancanza di comprensione, dalla difficoltà di far passare il suo messaggio e ancora oggi crede che a Bruxelles ci siano troppe persone  morbide con Mosca che potrebbero ostacolare l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue: “Bruxelles non è abbastanza solida ancora per assicurare a Kyiv un futuro nell’Unione. L’imperatore a Mosca sarà sempre contrario. Invece, con l’Ucraina l’Ue diventerebbe più forte e più coerente”.

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Per   Landsbergis l’Ue è cambiata dopo l’attacco russo  all’Ucraina, ma non nelle fondamenta: “Putin è la guerra”  

 

Le critiche di Landsbergis all’Ue. Landsbergis crede che l’Europa debba ancora crescere nella sua capacità di proteggere, ma ha molta fiducia nella Nato e non è mai stato d’accordo con l’idea del presidente francese Emmanuel Macron sullo stato comatoso dell’Alleanza atlantica. Per l’ex presidente lituano questa era l’aspettativa di Putin, alla quale Macron ha dato voce. Non si aspetta cambiamenti da parte di Mosca, deve essere prima deputinizzata, dice che  non riesce neppure a immaginarsela cambiata, dopo tutto, ammette, è stato breve il periodo in cui ha davvero sperato che la Russia fosse diversa: “Dall’agosto 1991 fino al 1993 alcune speranze erano legate a Boris Eltsin”, il primo presidente della Federazione russa. Si fida però del suo fronte, quello affacciato sul Baltico, dei vicini con cui ha costruito la democrazia. E quella battaglia di più di trent’anni fa oggi è molto sentita nelle tre repubbliche, è tornata al centro della politica assieme alla resistenza dell’Ucraina, all’aiuto di cui ha bisogno e al rapporto con Mosca. Non si tratta soltanto di politica internazionale, questi temi sono vissuti come questioni interne, ci si costruiscono le campagne e i test elettorali. Siamo andate a studiare le elezioni in Estonia, la prima prova nel fronte Baltico dopo il 24 febbraio del 2022 e  come ci ha detto la politologa estone Merili Arjakas, “uno degli impatti più notevoli della guerra sulla politica di Tallinn è stata una rinnovata attenzione per la  difesa e la sicurezza”.
 

Il voto del 5 marzo. Domenica gli elettori estoni rinnovano con le loro preferenze il Riigikogu, il Parlamento di Tallinn, che è composto di 101 seggi. Il Partito delle riforme di Kaja Kallas, la premier dalle parole d’acciaio che ha contribuito a forgiare l’allineamento occidentale contro l’aggressione russa, dovrebbe confermarsi al primo posto, anche se i sondaggi dell’ultima settimana di febbraio hanno registrato un calo. Il consenso di questo partito conservatore e liberale è attorno al 28 per cento, ma come accade in moltissimi altri paesi europei è il posizionamento degli altri partiti a essere decisivo, perché per governare va comunque formata una coalizione. Se sulla necessità di respingere l’aggressione russa non ci sono divisioni e tutti e cinque i principali partiti del paese lo ripetono all’unisono, il costo di questo respingimento, il rapporto con la Russia e la consistente comunità russofona dell’Estonia hanno una certa influenza. In particolare sui due partiti di destra e destrissima, il Partito di centro e l’Ekre, che si contendono il secondo posto (anzi, si può dire che il Partito di centro ambirebbe a una contesa, ma l’Ekre è stabilmente davanti con circa il 22 per cento dei consensi). L’Ekre è per noi una vecchia conoscenza: era tra i partiti che, nell’estate del 2021, firmarono la “Carta dei valori” dei sovranisti contro l’assoggettamento a Bruxelles, assieme tra gli altri alla Lega e a Fratelli d’Italia. All’antieuropeismo l’Ekre ha aggiunto gli ingredienti dell’estremismo: uno dei suoi leader, l’ex ministro dell’Interno Mart Helme (che ha un figlio che si chiama Martin e che fece un ripresissimo gesto suprematista mentre giurava come ministro), pensa che i gay dovrebbero andarsene a vivere in Svezia, fa campagna contro gli stranieri, coltiva teorie del complotto e occhieggia alla comunità russofona. Un candidato dell’Ekre ha detto qualche giorno fa che un dialogo con la Russia va per forza cercato, è solo la Kallas che s’intestardisce contro le soluzioni diplomatiche: il partito ufficialmente lo ha criticato, ma qualche commentatore ha sottolineato che non era poi così scontento. Il Partito di centro storicamente è il partito della comunità russofona, che Merili Arjakas ci ha descritto come molto variegata: “Non la pensano tutti allo stesso modo, così come gli estoni”. Arjakas ci ha raccontato un aneddoto  interessante: “Il primo foreign fighter estone a ricevere una medaglia al coraggio in Ucraina è stato German Barinov, un russo di Pärnu che ha detto di combattere per impedire che la guerra arrivi in Estonia”. Il Partito di centro, tuttavia, è stato a lungo gemellato con Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, e anche se era una partnership assolutamente inattiva, è stata dismessa soltanto dopo l’invasione russa in Ucraina. Questa scelta tardiva non è stata dimenticata, anche se la frattura con il partito della Kallas con cui governava fino all’estate scorsa si è consumata sui fondi all’istruzione, cioè sui soldi. Se sulla guerra e sulla necessità di ampliare il budget di difesa e sicurezza c’è un accordo sostanziale, sulla gestione dei fondi invece ci sono molte divergenze, e queste finiscono per impattare anche sulla visione della lunghezza della guerra. Gli analisti dicono che tutta la questione elettorale in Estonia, non da oggi, si riduce a: chi è disposto a lavorare con l’Ekre e chi no. La Kallas non è disposta e non è disposto neanche il partito più liberale e progressista del paese, Estonia 200, guidato dal battagliero Lauri Hussar, che vuole superare finalmente la soglia di sbarramento, ottenere i suoi primi parlamentari e aiutare la premier a formare una coalizione che possa fare a meno certamente dell’Ekre, magari anche del Partito di centro.
 

In Estonia  la questione elettorale si riduce a: chi è disposto a lavorare con l’Ekre e chi no. La Kallas non è disposta


Il senso di Kaja per la leadership. Kaja Kallas è più popolare all’estero che in Estonia, ma tutti le riconoscono il fatto di aver reso enorme, per determinazione, impegno, valori e solidarietà, questo piccolo paese che è grande quasi il doppio della Lombardia e ha gli stessi abitanti della sola città di Milano. Nel gennaio del 2022, quando mezzo mondo diceva che americani e inglesi erano isterici e stavano spingendo Putin alla guerra martellando con i report di intelligence che mostravano l’invasione imminente, il governo della Kallas aveva già inviato armi all’Ucraina. Lei ha raccontato che in realtà per l’Estonia, come per tutti i paesi Baltici, quell’invio era coerente con il messaggio che mandavano da sempre: la Russia è pericolosa, il fronte est della Nato va rafforzato. Nell’anno di guerra la Kallas ha aggiunto al più grande sostegno (in termini relativi) di tutti i paesi della Nato all’Ucraina la sua storia personale, che fino a quel momento era legata a suo padre, uno dei costruttori dell’indipendenza estone, ex premier ed ex governatore della Banca centrale. Raccontando e riraccontando la deportazione di sua nonna e di sua madre, allora una bambina, in Siberia, il freddo e la fame e la violenza del regime sovietico, la Kallas ha definito la sua leadership e quella dell’Estonia: “I miei nonni hanno vissuto cose terribili”, ha detto, “e mi hanno insegnato che è sempre importante festeggiare il fatto di essere vivi”. In casa, la premier ha anche imparato due altre cose: si può, anzi si deve dare il meglio di sé durante i tempi più duri e si può gestire qualsiasi cosa, anche la più brutale, quando si hanno le idee a posto e gli obiettivi chiari. Come ci ha detto Merili Arjakas, l’Estonia non si aspetta un attacco “oggi, domani o dopodomani” da parte di Mosca, Kallas lo sa bene. Ma sa altrettanto bene che “se il regime del Cremlino percepisce che usando la forza si raggiungono risultati  politici, allora  aprirà il vaso di pandora di tutti i regimi del mondo”.
 

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A metà del dicembre del 2021, la Kallas partecipò a un dibattito pubblico assieme all’allora neocancelliere tedesco Olaf Scholz in occasione del Digital Summit a Berlino. La guerra sembrava un’ipotesi remota nonostante le centomila truppe russe al confine ucraino, il tema dell’incontro era la digitalizzazione, la celebre e-Estonia che, tra le tante cose, permette non soltanto di votare online alle elezioni ma di cambiare idea e di presentarsi il 5 marzo ai seggi e dare il voto definitivo, cancellando senza timore di brogli o pasticci o recriminazioni la preferenza data online. La Kallas aveva fatto l’elenco degli errori commessi dal suo paese nella digitalizzazione dicendo: noi li abbiamo già commessi, voi potete evitarli. Scholz le disse: “C’è una bella differenza tra operare con 84 milioni di persone e operare in un paese delle dimensioni del tuo”. Indefessa, la Kallas ribadì che dal 2007 il suo paese si era addestrato non soltanto a fare tutto online, ma anche a combattere la propaganda e i cyberattacchi di regimi stranieri, soprattutto della Russia. “L’immagine che è rimasta di quell’incontro – ha scritto lo Spiegel – è quella di una donna autorevole che racconta senza autocompiacimento i suoi successi e quella di un uomo un pochino dimesso di fianco a lei che parla dei guai del federalismo”. Landsbergis ci ha detto:  per arginare i regimi servono due cose, l’occidente e la provvidenza. Le dimensioni contano, certo,  ma l’esperienza, la visione e la determinazione contano di più, sia che siamo qui noi due,  o se siamo in milioni di persone che si difendono da un aggressore. 

(ha collaborato Luciana Grosso)

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