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L'editoriale dell'elefantino

Rafah a Science Po e alla Columbia

Giuliano Ferrara

Il governo israeliano, così impopolare nel bel mondo degli studentati, vuole riprendersi i suoi ostaggi con la pressione umanitaria che si fa con i carri armati. La stolida bien-pensance ha rafforzato i Sinwar

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Travestito da familiare degli ostaggi, il Cretino Collettivo continua a raccontare la favola secondo cui il governo israeliano se ne disinteressa. 18 capi di stato e di governo hanno finalmente capito che l’appello umanitario non deve riguardare Israele, o non il solo Israele, ma prima di tutto i banditi che tengono nei tunnel donne, vecchi, bambini, militari rapiti. E che sono responsabili della morte di molti di loro. Il governo israeliano, con la guerra di Gaza così impopolare nel bel mondo degli studentati, cerca di riprenderseli, i suoi cittadini, esercitando, come si vede bene nel caso di Rafah, la massima pressione militare possibile. E se un risultato arrivasse, ostaggi contro tregua, dipenderebbe da quella pressione umanitaria che si fa con i carri armati, con i bombardamenti, con la minaccia di entrare nell’ultima ridotta dei fasci islamici. La famosa risposta sproporzionata. 

 

Non ci voleva Einstein per capire questa ovvietà. Ma non è comodo capire quando ci si possa indignare, quando si possa mimare la stagione del Vietnam, che portò all’unificazione armata tonchinese, dopo la sconfitta di Saigon, e alla tragedia dimenticata dei boat people, una specie di tomba marina come quella del Mediterraneo oggi. La storia però è storia coloniale e postcoloniale, storia dell’antirazzismo come versione buona dell’antisionismo e dell’antisemitismo connesso, e l’oriente o il medio oriente è rosso, come diceva Mao nel grande balzo in avanti e nella rivoluzione culturale, con alcune decine di milioni di vittime dimenticate anch’esse completamente. Quindi meglio indignarsi con chi va a riprendersi gli ostaggi, e con l’occasione cerca di smantellare i banditi che li avevano massacrati e rapiti, piuttosto che leggere una storia meno convenzionale, meno corretta, meno cancel culture. 

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Per converso, quale è stato l’effetto della pressione diplomatica dell’Onu e dei benpensanti di stato su Israele, degli attendati nei campus, di tutti i ferventi sostenitori della liberazione della Palestina dal fiume al mare? Uno solo. Il rafforzamento della determinazione di Sinwar, Deif e gli altri a resistere asserragliati con gli ostaggi all’offensiva sacrosanta degli israeliani. La loro certezza che l’occidente imbelle avrebbe saputo ben destituire di legittimazione la guerra laica di autodifesa per rivendicare le ragioni della guerra santa fanatica contro gli ebrei, che è quello che puntualmente è accaduto. L’umanitarismo mal posto resterà una vergogna indelebile, per quanta buona fede, che è come sempre l’ultimo rifugio delle canaglie, possa rivendicare come certo patriottismo. L’accanimento nell’imputare a Israele l’effetto del 7 ottobre, che è interamente e senza sconti ascrivibile alla sola Hamas, ha rinfrancato i predoni e indebolito le loro vittime, ha dato una mano agli Erdogan, ai Khamenei, agli Hezbollah, agli houthi per spargere ancora sangue e violenza reale e verbale, come se non fosse bastata quella del pogrom, con il sostegno della bien-pensance internazionale. Non creda la vasta congrega dei progressisti a spese d’altri di poter evadere questo giudizio, magari con l’aiuto dei parrucconi della Corte penale internazionale o con la mano che sempre danno i codardi e gli stolti a tutte le forme più efferate di conformismo. Rafah. 

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