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la finta mediazione

Il fattore Cina fra Iran e Israele

Giulia Pompili

Mosca e Teheran sono sistematicamente protette da Pechino. Le mosse del G7 di Capri che si apre domani

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Il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, oggi ha parlato al telefono con il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, e il suo omologo saudita Faisal bin Farhan Al Saud. Secondo i media di stato, si tratta della prova del fatto che la leadership cinese vuole giocare un ruolo costruttivo e diplomatico nella crisi. Poco più di un anno fa, la diplomazia cinese aveva avuto il primo (e unico) successo internazionale intestandosi il riavvicinamento fra Iran e Arabia Saudita. 

I due paesi sono entrambi fondamentali alleati di Pechino nella regione e quell’accordo di riapertura delle relazioni diplomatiche fra Teheran e Riad, sancito all’inizio del terzo mandato della leadership di Xi Jinping, era stato letto dagli analisti come un tentativo della Cina di mostrarsi potenza responsabile, capace di rivaleggiare con Washington anche per quanto riguarda le questioni internazionali, offrendosi come alternativa autorevole per la sicurezza e la stabilità del medio oriente. Ma l’attacco di sabato notte dell’Iran contro Israele, e la possibile partecipazione dell’Arabia Saudita nell’alleanza a protezione dello stato ebraico (poi smentita da alcune fonti di  Riad ad Al Arabiya), depotenzia  l’operazione pacificatrice cinese. Nella conversazione con Amir-Abdollahian, Wang ha condannato “fermamente l’attacco all’ambasciata iraniana in Siria” da parte di Israele, ha affermato che è stato “una grave e inaccettabile violazione del diritto internazionale” e dunque che la risposta di Teheran è stata una legittima difesa. Secondo il resoconto pubblicato dai media cinesi, l’Iran avrebbe rassicurato Pechino sul fatto di voler mantenere “buoni rapporti regionali”, evitare insomma che il conflitto si allarghi, ma la posizione cinese è chiara: la crisi è una conseguenza diretta “dell’escalation del conflitto a Gaza”. Il ministro saudita Faisal avrebbe chiesto alla Cina di svolgere un ruolo “attivo e importante” per arrivare a un cessate il fuoco. In nessuno dei resoconti si fa menzione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas.

Basterebbe guardare come i media statali, e in particolare la Cctv, raccontano ai cinesi la crisi in medio oriente, per capire la posizione di Pechino. Per la Cina l’Iran ha agito con “precisione e calcolo”, ed è ora la potenziale risposta israeliana a mostrare da un lato l’incapacità diplomatica americana, e dall’altro la volontà (di Israele e dei suoi alleati) di far cadere il medio oriente in una spirale bellicosa. Subito prima dell’attacco iraniano, il segretario di stato Antony Blinken aveva telefonato al leader Xi chiedendo di fare pressioni su Teheran per evitare la rappresaglia che poi si è manifestata sabato sera. Pechino si erge a potenza equidistante, neutrale e responsabile, eppure l’interesse primario della leadership è sempre mostrare al mondo quest’immagine, piuttosto che la stabilità.

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Oggi a Pechino c’è stato anche il bilaterale fra Xi e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in missione in Cina con una delegazione di imprese tedesche per tentare di intensificare i rapporti commerciali anche in un momento in cui tutti in Europa lavorano al de-risking con la Cina. Un azzardo per Scholz, e tutta la difficoltà del leader tedesco si è manifestata soprattutto nell’immagine-simbolo della visita usata da tutti i media cinesi: Xi che cammina dritto, dietro di lui Scholz in ascolto con aria da scolaretto. E quindi l’invito del cancelliere alla Cina a “contribuire maggiormente a una pace giusta in Ucraina” resterà ancora una volta una speranza malriposta, anche alla luce dei “significativi aiuti” cinesi ricevuti da Mosca, come riportato da alcuni funzionari dell’Amministrazione americana venerdì scorso. Pechino sostiene la Russia, rafforza la diplomazia con la Corea del nord, e protegge anche l’Iran, le cui esportazioni di petrolio verso la Cina sono triplicate negli ultimi due anni. 

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Alla riunione ministeriale Esteri che si apre domani a Capri, sotto la presidenza italiana, un primo incontro sarà dedicato alla crisi in medio oriente. E secondo quanto riportato anche dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, parte della discussione sarà sull’ipotesi di implementare sanzioni economiche contro Teheran dopo l’aggressione contro Israele. L’ha confermato anche la segretaria al Tesoro americana, Janet Yellen, da poco tornata da una visita a Pechino: “Mi aspetto che nei prossimi giorni adotteremo ulteriori azioni sanzionatorie contro l’Iran”. Il problema è che il paese è già tra i più sanzionati del mondo, e le opzioni sul tavolo dei paesi del G7 restano limitate. Per aumentare la pressione economica sull’Iran, l’unico modo sarebbe iniziare a sanzionare le aziende cinesi che acquistano il greggio dal paese, quelle che lo raffinano e gli istituti bancari che garantiscono le operazioni. Ma è molto rischioso, scriveva oggi il Washington Post: iniziare a sanzionare direttamente la Cina per i rapporti con i suoi alleati – sia la Russia sia l’Iran – vorrebbe dire vanificare i tentativi di dialogo e apertura con Pechino dei mesi scorsi. 

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