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L'analisi

Perché la notizia della fine dell'“esorbitante privilegio” Usa è esagerata

Carlo Benetti

I Brics non sono un’area valutaria ottimale e quelle economie presentano forti differenze. L'allargamento potrà solo aumentare la loro dipendenza da Pechino

E’ curioso che l’acronimo Brics, che comprende le economie emergenti più grandi e che sta assurgendo a simbolo di anti-americanismo economico, abbia un’origine americanissima. Fu Jim O’Neill, economista di Goldman Sachs, a coniare nel 2001 l’acronimo che raggruppa le economie di Brasile, Russia, India, Cina e, dal 2010, Sudafrica. Le ragioni erano puramente commerciali, quelle economie presentavano prospettive di crescita interessanti e alla banca premeva convogliare là gli investimenti finanziari. Oggi l’insieme dei Brics rappresenta il 42 per cento della popolazione mondiale e circa un terzo del pil mondiale, esercita una forte capacità attrattiva sugli altri paesi emergenti, dal 2024 saranno nuovi membri del forum Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. 

Nei paesi del sud del mondo c’è voglia di affrancamento dagli Stati Uniti, il Brasile di Lula allenta la relazione con Washington e si avvicina a Pechino. Dilma Rousseff, presidente della New Development Bank, non ha perso tempo nel manifestare la volontà di sottrarre il Brasile e gli altri paesi emergenti all’influenza del dollaro. In un’intervista a un media cinese poche settimane dopo la sua elezione, la presidente dichiarò che sarebbe stato “necessario trovare il modo di evitare il rischio di cambio e altri problemi, come la dipendenza da un’unica valuta, il dollaro americano”. La New Development Bank, istituita nel 2015 dai Brics come risposta indipendente alla Banca mondiale, farà la sua parte, nel quadriennio 2022-2026 il 30 per cento dei prestiti erogati dovrà essere in valute locali. 

L’erosione dell’influenza politica americana sembra andare di pari passo con l’erosione di quello che Giscard d’Estaing negli anni Sessanta definiva “l’esorbitante privilegio” del dollaro. Le economie emergenti hanno cominciato a vendere buona parte delle loro riserve in valute forti e la quota di dollari nelle riserve globali è scesa sotto il 60 per cento, “una delle quote più basse degli ultimi vent’anni” segnala la Banca dei regolamenti internazionali. La minore dipendenza dal dollaro non sarebbe un cattivo affare per le economie emergenti: attenuerebbe i rischi di cambio e faciliterebbe l’accesso al credito, è però altrettanto vero che l’obiettivo della de-dollarizzazione è ancora molto velleitario, le ragioni di cambio vanno e vengono ma non devono essere confuse con lo status di valuta di riserva globale.

C’è un’altra questione non secondaria, i Brics non sono un’area valutaria ottimale e, a differenza dell’Eurozona, quelle economie presentano forti differenze negli ordinamenti giuridici, nelle legislazioni, nel commercio, nell’apertura finanziaria. C’è una superpotenza economica come la Cina, una promessa di potenza economica come l’India e tre esportatori di materie prime dalle economie non particolarmente brillanti. Su tutte è ovviamente la Cina ad avere il ruolo dominante, nella sfida all’egemonia statunitense i paesi del forum Brics allargato potranno solo aumentare la loro dipendenza da Pechino. Come è capitato alla Russia: dopo l’attacco all’Ucraina si è trovata isolata dalle maggiori economie del mondo, costretta ad aumentare fortemente la dipendenza finanziaria della Cina e gli interessi strategici di Pechino non sono particolarmente allineati con quelli degli altri Paesi.

All’obiettivo della de-dollarizzazione non bastano le performance economiche, la Cina è la seconda economia del mondo ma il renmimbi è molto lontano dallo status di divisa di riserva globale. Le valute esprimono il portato anche non economico dei vari paesi, fatto da istituzioni, ordinamenti, culture politiche. Dietro al dollaro ci sono libere istituzioni democratiche, lo stato di diritto, la tutela della proprietà, le libertà individuali, la libera impresa e il mercato da cui discendono la libera convertibilità della valuta. Valori che hanno ovviamente a che fare con lo sviluppo economico ma che non sono squisitamente economici. Può darsi che la progressiva perdita d’influenza del dollaro possa essere l’esito naturale dello scorrere della storia e prima o poi anche il dollaro perderà il suo esorbitante privilegio, la gloria degli uomini (e delle valute) è destinata a passare direbbe il disincantato Qoelet, è successo un secolo fa alla sterlina e succederà in futuro anche al dollaro. Ma quel futuro è ancora lontano, l’“esorbitante privilegio” del biglietto verde sembra destinato a rimanere ancora a lungo. La notizia della sua scomparsa è fortemente esagerata.

Carlo Benetti, Market Specialist GAM Italia

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