Foto di Aurelien Morissard, AP Photo, via LaPresse 

riforma delle pensioni

In Francia si protesta sempre meno. Macron non cede ai sindacati

Mauro Zanon

Le manifestazioni sono sempre meno numerose, ma aumenta la violenza. Le sigle sindacali, anche quelle che sembravano più aperte al dialogo, hanno intrapreso un braccio di ferro con il presidente francese 

Parigi. “Se le persone non volevano la pensione a 64 anni, non avrebbero dovuto mettere il presidente davanti a tutti al primo turno”. L’entourage dell’inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, fa passare questo messaggio nel giorno dell’undicesimo sciopero nazionale dall’inizio della protesta contro la riforma delle pensioni, approvata lo scorso 16 marzo grazie al famoso 49.3, l’articolo della Costituzione introdotto da Charles de Gaulle nel 1958 che permette all’esecutivo francese di approvare una legge senza sottoporla al voto del Parlamento.

È inutile lamentarsi oggi visto che tutto era già scritto nero su bianco nel suo programma elettorale, dicono i fedelissimi di Macron, e visto che la riforma del sistema previdenziale era presentata come il progetto faro del secondo mandato (progetto, tra l’altro, che è stato edulcorato rispetto ai piani iniziali, che prevedevano un aumento dell’età pensionabile da 62 a 65 anni). “Se il ruolo del presidente della Repubblica è quello di prendere decisioni in funzione dell’opinione pubblica, allora non c’è più bisogno di organizzare delle elezioni presidenziali”, ha aggiunto l’entourage di Macron, trasmettendo l’irritazione del presidente per l’intransigenza dei sindacati, anche quelli che sembravano più ragionevoli, come la Cfdt di Laurent Berger.

Mercoledì, all’Hôtel de Matignon, sede del governo, era stata fissata una riunione con la speranza di trovare un compromesso tra la prima ministra Élisabeth Borne e l’intersindacale che guida la mobilitazione di piazza e con un attento osservatore collegato a circa 8 mila chilometri di distanza, Emmanuel Macron, attualmente in visita ufficiale in Cina. Ma dopo soli 55 minuti (Borne aveva previsto tre ore), Berger e gli altri leader dei sindacati francesi, compresa la neosegretaria nazionale della Cgt, Sophie Binet, hanno girato i tacchi. “È stato un fallimento”, ha dichiarato Berger, “un incontro inutile”, ha aggiunto Binet, accusando l’esecutivo di essere “radicalizzato, ottuso e disconnesso”.

Borne voleva affrontare con le parti sociali i prossimi dossier del quinquennio, e in particolare la futura legge sul lavoro, voltando la pagina tumultuosa delle pensioni. I suoi interlocutori, invece, hanno chiesto nuovamente l’abbandono dell’età pensionabile a 64 anni, ossia dell’articolo più importante della riforma. Un dialogo tra sordi, insomma. 

A peggiorare la situazione è stata una frase  pronunciata da Berger, che pochi giorni fa sembrava invece voler tendere una mano al governo per un’uscita dalla crisi: “La crisi sociale si sta trasformando in crisi democratica”, ha detto. Senza citarlo, da Pechino, Macron ha ricordato al capo della Cfdt che “le parole hanno un peso” e quando si utilizzano in maniera inappropriata “si favorisce l’ascesa degli estremisti”.

“Un presidente eletto, con una maggioranza eletta, anche se relativa, che cerca di portare avanti un progetto presentato democraticamente: questa non si chiama crisi democratica”, ha reagito il presidente francese. Secondo Macron, non era mai era successo che i sindacati storicamente riformisti si mostrassero così oltranzisti e ostili al dialogo. “Per la prima volta  la Cfdt non ha proposto alcun progetto: né l’accelerazione né l’aumento della durata di contribuzione”, ha detto. Attacco al quale ha replicato ieri Berger: “Invito il presidente alla calma, altrimenti finirà per mettersi conto tutte le organizzazioni sindacali”.

Il clima, dunque, non è per niente sereno a pochi giorni dal verdetto del Consiglio costituzionale, chiamato il prossimo 14 aprile a dare il suo parere definitivo sulla riforma. Il giudizio dei nove saggi, tra cui figurano gli ex premier Laurent Fabius (socialista) e Alain Juppé (gollista), è l’ultimo appiglio a cui si aggrappano i sindacati per evitare l’entrata in vigore della riforma: le probabilità di una censura parziale o totale del progetto legislativo, tuttavia, sono basse. 

Come nella precedente giornata di protesta, ieri è stato registrato un calo netto della partecipazione, ma anche l’aumento di episodi di violenza. Decine di lavoratori delle ferrovie sono entrati con i fumogeni nella sede parigina di Blackrock, il più grande fondo di investimento del mondo e simbolo del capitalismo, e incidenti si sono verificati anche nei pressi della brasserie La Rotonde, dove Macron festeggiò la sua elezione all’Eliseo nel 2017.

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