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Pensieri di sinistra

L’imbarazzo per i documenti riservati ritrovati a casa di Biden è un po’ controproducente

Paola Peduzzi

Imbarazzante sarà semmai presentarsi alle primarie democratiche senza un piano per il futuro

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Ogni giorno saltano fuori nuovi documenti riservati in qualche casa, garage, scantinato di proprietà di Joe Biden o legato a lui, uno stillicidio che sarebbe quasi comico – se si guardano le battute e i meme sui social in effetti scappa un po’ da ridere – se non fosse che naturalmente quei documenti non dovrebbero essere lì, ma negli Archivi nazionali, ben custoditi e sigillati, come vuole la legge. Di comico resta il fatto che se l’Fbi va a perquisire la casa del presidente americano a Wilmington, in Delaware, per volere dello stesso presidente, molti tra opposizione, commentatori e anche tra i democratici  vedano un parallelismo “imbarazzante” con l’Fbi che entra nella residenza di Donald Trump a Mar-a-Lago e scova scatoloni di documenti dentro a un enorme sgabuzzino in mezzo a ombrelloni e sdraio per la piscina lì accanto. Si potrà dire – e i repubblicani lo ripetono sfinendoci – che il plastico della villa trumpiana ricostruito digitalmente dal New York Times è un po’ eccessivo e che non è detto che tutti gli ospiti controversi che sono passati da Mar-a-Lago potessero davvero accedere a quegli scatoloni pieni di materiale sensibile; si potrà dire che i democratici hanno costruito un caso enorme su quei documenti di cui non si sa (proprio come quelli di Biden) che livello di riservatezza avessero, ma esistono differenze sostanziali tra i due casi e la prima è di purissima natura politica.

 

Per molto tempo, cercando di prendere le misure di Trump e illudendoci che il ruolo istituzionale potesse trasformarlo (è andata esattamente al contrario), non abbiamo creduto che l’ex presidente potesse davvero dire, fare e pensare quel che poi ha detto, fatto e pensato, fino ad arrivare a concepire e mettere in pratica un piano eversivo per ribaltare l’esito delle elezioni del 2020, con tanto di assalto violento al Congresso. Con un profilo così – un profilo che non viene imputato a Trump: lui stesso rivendica ancora oggi di aver fatto bene a contestare le elezioni del 2020, così come lui e i suoi accoliti ripetono che Biden è un impostore – i documenti riservati ritrovati nel deposito della piscina di Mar-a-Lago fanno un po’ più paura: l’ex presidente ha ampiamente dimostrato durante il suo mandato e pure dopo di utilizzare le informazioni e il potere che gli sono venuti dalla carica che ha ricoperto in modo poco, diciamo, istituzionale. Per di più, Trump ha dato versioni diverse sugli stessi documenti, dicendo prima di non saperne nulla, poi che aveva lui stesso tolto la riservatezza da quei documenti (non risulta però ufficialmente questo atto) e infine dichiarandosi vittima di un assalto pretestuoso dell’Fbi. Soprattutto: Trump ha ostacolato ogni richiesta da parte degli Archivi nazionali per verificare la presenza di documenti riservati nella residenza in Florida, mentre Biden ha chiesto al dipartimento di Giustizia e all’Fbi di controllare la sua residenza in Delaware, cosa che è appunto avvenuta sabato ed è durata tredici ore. 

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Ora ci sono due procuratori speciali che indagano sui documenti, uno per Trump e uno per Biden (si chiamano Jack Smith e Robert Hur), e poiché l’Amministrazione in carica non ha gestito granché bene la querelle sui documenti – a partire dalle tempistiche: i primi documenti sono stati ritrovati prima delle elezioni di metà mandato a novembre, ma ne è stata data comunicazione soltanto un mese dopo – ora secondo un recente sondaggio di Abc News, la maggior parte degli americani pensa che sia Biden sia Trump abbiano gestito in modo “inappropriato” la consegna dei documenti riservati. Le indagini volute dal dipartimento della Giustizia guidato dall’indaffaratissimo Merrick Garland individueranno responsabilità e pericoli, mentre la Casa Bianca sta rivedendo le regole della riconsegna dei documenti perché abbiamo scoperto che nelle transizioni tra un presidente e l’altro è successo spesso che qualche scatolone sia andato perduto e sia poi riemerso in luoghi non consoni. Ma volendo prendere sul serio quella che sembra una leggerezza malgestita da parte di Biden, si può individuare un tema politico che nella seconda parte di quest’anno e ancor più nel 2024 sarà decisivo. Detta in termini spicci: il presidente in carica è troppo anziano per correre per la rielezione? Sulla leadership di Biden incombe la questione dell’età: il prossimo anno questo politico di lunghissima data (fu eletto senatore per la prima volta nel 1972) compirà ottantuno anni, è apparso più volte stanco e confuso in pubblico (è anche caduto dalla bicicletta da fermo, proprio sotto gli occhi di una telecamera), sarà ancora in grado di fare  il presidente, ammesso che venga eletto? 

 

Al momento, e in particolare con l’invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin, la risposta è che l’età non ha condizionato la determinazione democratica di Biden: senza di lui, oggi – scusate l’iperbole – gli unici carri armati di cui staremmo discutendo sarebbero quelli di Putin a Berlino. Anzi, viene proprio da dire che menomale che alla Casa Bianca c’è un signore anziano ed esperto di politica internazionale: è molto affidabile. Poi naturalmente i fattori che rendono un candidato alla presidenza credibile sono altri e sono più complicati: di questo si dovrà occupare il Partito democratico americano che già si tormenta sull’imbarazzo causato da Biden, che già, nella sua parte più radicale, dice di essersi turato il naso nel 2020 e che non è disposto a farlo di nuovo, ma che ancora non ha indicato alcun nome alternativo che parli di futuro e di rinnovamento. C’è tempo, naturalmente, e intanto spulciamo speranzosi nomi e volti di giovani politici democratici promettenti, ma forse sarebbe più utile impiegare questo tempo a costruire il prossimo leader del partito al governo piuttosto che imbarazzarsi puntualmente per le ragioni sbagliate.

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