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Il rapporto tra diritto Ue e Costituzione tedesca secondo Huber

Fernando D’Aniello

Il giudice costituzionale spiega perché il sì di Karlsruhe al Next Generation “non è il momento Hamilton dell’Unione”

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Karlsruhe. Martedì mattina il Bundesverfassungsgericht, il Tribunale costituzionale federale tedesco, ha respinto i ricorsi presentati contro Next generation (Ngeu), il piano europeo che prevede un indebitamento dell’Unione europea fino a 750 miliardi, risorse destinate agli Stati membri come prestiti e contributi a fondo perduto e che servono a combattere le conseguenze della pandemia e a ricostruire le economie continentali. Sono tante le questioni sulle quali il Tribunale era chiamato a esprimersi: la possibilità per l’Unione di indebitarsi, i limiti del piano, il suo fondamento giuridico. I ricorrenti avevano poi utilizzato un argomento classico: i rischi per la Germania, che potrebbe trovarsi nella situazione di dover corrispondere l’intero importo. Uno scenario lontano dalla realtà, come scritto nella sentenza. Ne abbiamo parlato con il giudice che l’ha redatta, Peter M. Huber, che proprio in questi giorni lascia, per scadenza del mandato, il Tribunale.


C’è stata una certa sorpresa. Si pensava che il Tribunale costituzionale federale si rivolgesse alla Corte di giustizia europea. Invece ha rigettato i ricorsi, segnalando comunque tutta una serie di problemi.  “Dobbiamo fare una premessa – dice il giudice Huber – il Tribunale costituzionale federale non è chiamato a dare l’interpretazione corretta dei Trattati europei ma, secondo giurisprudenza ormai consolidata, salvaguardare i limiti di diritto costituzionale della partecipazione tedesca all’Unione europea, preservando così l’identità della Legge fondamentale. Da tempo diciamo che se non c’è un palese (offensichtlich) superamento delle competenze assegnate alle istituzioni europee e una loro strutturale modifica, allora non si può parlare di atto ultra vires. La Decisione sulle risorse proprie del dicembre 2020 su Next generation non è palesemente un atto del genere. Il Tribunale ha elaborato negli anni dei presupposti precisi, in base ai quali non tutti gli atti per i quali esistono dubbi richiedono un rinvio alla Corte europea: nel caso Omt, il Whatever it takes di Draghi, eravamo convinti che ci fosse un problema nelle decisioni della Bce come anche nel caso Pspp e che avevamo a che fare con una palese trasgressione delle competenze della Banca centrale. Ecco perché abbiamo rinviato alla Corte del Lussemburgo. Con la decisione del 5 maggio 2020 sul Pspp c’è stato un problema di comunicazione: abbiamo parlato di arbitrarietà per provare una palese violazione e per non interferire nelle competenze della Corte europea, ma il linguaggio ha fatto scandalo. Ma questo significa che solo un’applicazione arbitraria del diritto europeo crea un problema costituzionale. Come nel caso di Next generation, sebbene ci sia stato anche tra di noi un giudice che avrebbe posto la questione alla Corte europea perché pensava che Ngeu fosse una violazione palese dei trattati”.

 

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In più di un passaggio della sentenza il Tribunale costituzionale federale ha nuovamente dato delle indicazioni precise al legislatore nazionale. Ad esempio: “Non si può arrivare a meccanismi permanenti per l’assunzione di responsabilità per gli stati membri”. Non c’è, quindi, una competenza dell’Unione a indebitarsi. “Esatto. Anche se queste considerazioni non determinano l’inammissibilità di Next generation, certamente un meccanismo permanente di indebitamento sarebbe contrario ai Trattati. Con Next generation siamo di fronte a un’eccezione, fondata sull’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfue), per via della pandemia. Ci sono opinioni che contestano anche questa eccezione e siamo anche consapevoli che il programma potrebbe essere ripetuto. Quello che non è possibile è immaginare, ad esempio, di usare un meccanismo simile per i progetti più diversi, la digitalizzazione o altri. Invece occorre tener presente i limiti precisi che abbiamo indicato in questa sentenza: un regolamento secondo l’articolo 311 comma 3, III periodo del Tfue (approvazione da parte di tutti i parlamenti nazionali, ndr), una quantità certa di debiti, un tempo predefinito, uno scopo preciso”.

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Una delle obiezioni sollevata era propria la qualificazione di cosa siano i mezzi propri dell’Ue. “La Decisione prevede che i fondi non siano inseriti nel bilancio europeo, qui c’è anche una menomazione del ruolo del Parlamento europeo, che non interviene. Un altro problema è capire se i debiti possano essere considerati nuove categorie di entrate in base all’articolo 311 comma 3 del Tfue: qui le opinioni tra gli esperti divergono. Fino a poco tempo fa, le stesse istituzioni europee erano convinte che i mezzi propri dell’Unione non potrebbero contemplare anche dei debiti. Se fosse così, saremmo nuovamente di fronte a un possibile atto ultra vires, ma su questo il Tribunale non era chiamato a esprimersi”.

Un’altra riguardava l’enorme spazio di manovra che viene creato per la Commissione con il primo comma dell’articolo 6 della Decisione, che consente di incrementare il contributo degli stati membri di un ulteriore 0,6 per cento. “Il Tribunale è di altro parere. Quella norma è molto chiara: può essere utilizzata solo in relazione alle necessità di Next generation. So che ci sono diverse opinioni su questi aspetti, come pure c’è chi si augura un maggior spazio di manovra per la Commissione, ma giuridicamente questa possibilità non c’è”. 

 

Sempre i ricorrenti e molti studiosi sottolineano che senza una distinzione dell’impatto sull’architettura europea di fondi messi a disposizione come prestiti e quelli come contribuiti diretti, ci potrebbe essere un aggiramento della clausola che vieta il bail-out. “Il divieto contenuto dall’articolo 125 Tfue è una cosa che abbiamo tematizzato nella sentenza. La decisione sui mezzi propri non opera una distinzione, questo è vero, ed è chiaro che in base ai Trattati e all’articolo 125 Tfue i prestiti sono meno problematici dei contributi a fondo perduto. Anche in questo caso, ci possono essere delle riflessioni da fare – gli Stati membri sono certamente alleggeriti dai debiti e ci sono altri effetti collaterali – ma non siamo di fronte a una situazione così palese da fondare un ricorso per violazione dell’articolo 125. E ripeto: eravamo chiamati a esprimerci sulla possibilità di contrarre debiti e non sul modo con cui le risorse vengono poi utilizzate”.  

La sentenza dedica molto spazio al controllo ultra vires, molto di meno all’identità costituzionale tedesca e al ruolo del Bundestag. Non è stato accolto lo scenario dei ricorrenti in base al quale la Germania avrebbe potuto rispondere per l’intera cifra. “Quello scenario non ha convinto il Tribunale: nei casi più foschi la previsione fatta dagli esperti è di un impegno del bilancio tedesco di oltre venti miliardi, magari anche trenta. Una cifra che crea problemi ma che, anche in questo caso, non è tale da soddisfare i requisiti chiesti dal Tribunale costituzionale federale. Vale a dire la totale compromissione della capacità del parlamento di definire il bilancio. Ovviamente se a questa misura se ne aggiungono delle altre, il peso sul bilancio tedesco cresce ed è anche la ragione per cui la Corte dei conti ha già segnalato che non è possibile replicare Next generation troppe volte. Forse è il caso che in futuro il parlamento stesso si esprima con più chiarezza su questo punto”.

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Olaf Scholz, quando era ancora ministro delle Finanze, ha parlato di Ngeu come del primo passo verso l’Unione fiscale. Dopo questa sentenza, a cosa devono fare attenzione governo e parlamento tedeschi se vogliono procedere in quella direzione? “A nostro avviso Next generation non è il momento Hamilton dell’Unione europea. Se lo fosse, si tratterebbe certamente di una violazione dell’identità costituzionale tedesca. Sarebbe il passaggio definitivo verso una federazione europea e in Germania avremmo bisogno di un’altra costituzione. Non è tuttavia escluso che si ripetano catastrofi simili a quelle del Coronavirus, ma certamente non al ritmo di una l’anno. L’idea che c’è a Bruxelles e forse anche a Roma che questo sia l’inizio di un modo per produrre risorse tramite debito e così creare un’Unione di trasferimenti, più grande di quanto l’Ue già sia, è incompatibile con questa sentenza e con la giurisprudenza degli ultimi anni. Quando dovremo reagire alle crisi del futuro dovremo tener conto dei principi espressi da questa giurisprudenza”.

Lei ha appena scritto un libro: Controllare la Corte di giustizia europea. Non era forse più indicato inviare il caso alla Corte del Lussemburgo, anche per rafforzare questo dialogo? “Sono stato il giudice relatore dei due rinvii alla Corte del Lussemburgo, non avrei avuto problemi a un nuovo rinvio. Quindi: se c’è la necessità di rivolgersi al Lussemburgo, lo facciamo: abbiamo sviluppato negli ultimi anni criteri molto chiari per definire quando c’è questa esigenza. In caso contrario, se possiamo evitarlo, è meglio per tante ragioni”.

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