I sostenitori del deputato di estrema destra Ben-Gvir festeggiano dopo i risultati del primo exit poll (Foto AP/Oren Ziv) 

In Israele ha vinto l'affluenza

Micol Flammini

Se Benjamin Netanyahu riuscirà a formare un governo sarà grazie all'estrema detra di Ben-Gvir, che ha preso voti anche dalla destra anti Bibi e ha riportato alle urne nuovi elettori. Ora può tenere in ostaggio l'ex premier 

Sarebbe rimasto tutto immobile nelle elezioni israeliane che si sono tenute ieri se non fosse per la spinta che Benjamin Netanyahu ha ricevuto dal suo nuovo alleato Itmar Ben-Gvir, leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit, Potere ebraico. Ben-Gvir ha ventisette anni in meno di Netanyahu, ha condotto una campagna elettorale martellante e sfrontata e ha prodotto l’unico dato di cambiamento di queste elezioni: l’affluenza. Ha movimentato, richiamato l’attenzione e portato al voto cittadini che non votavano da anni e che hanno fatto registrare l’affluenza più alta del 1999. Il Likud di Netanyahu con i suoi 33 seggi è rimasto dov’era: è sempre il primo partito in Israele, ma con un bisogno stringente di alleati, anche scomodi. Il conteggio va ancora avanti e il premier in carica Yair Lapid, che guida il partito di centro sinistra Yesh Atid, ha chiesto ai suoi di aspettare, “sarà una notte che durerà due giorni”: la frase ha il suono attendista, ma in realtà il conteggio fino all’ultima scheda delle elezioni del 2021 aveva restituito un Bibi meno forte del previsto e dato alla schiera di suoi oppositori i numeri per unirsi. Fu Lapid il grande tessitore del governo di unità nazionale formato da partiti di destra, di sinistra, di centro, anche con il sostegno del partito arabo Ra’am, tutti uniti dall’unico desiderio di impedire a Netanyahu un nuovo mandato. Una coalizione di nemici, evidentemente non abbastanza motivati da resistere a litigi: di questa poca motivazione all’unità hanno fatto le spese i partiti di sinistra Labor e Meretz – quest’ultimo rischia di non superare la soglia di sbarramento. I loro voti sono andati a Lapid, che però non è riuscito ad attrarre nuovi consensi.

  

Mentre si attendono ancora i risultati del voto arabo, la novità è tutta a destra, nell’incendiario Ben-Gvir che è riuscito a trovare elettori aumentando l’affluenza nazionale di circa il 6 per cento e ha attratto i voti di chi nelle elezioni del 2021 aveva sostenuto altri partiti di destra anti Netanyahu, come Yamina dell’ex premier Naftali Bennett e New Hope dell’ex alleato di Bibi Gideon Sa’ar, che aveva tentato di sfidarlo all’interno dello stesso Likud.

  

Ogni tornata elettorale ha portato a Netanyahu un nuovo alleato, quello indispensabile per formare il governo e avere la maggioranza, ed è spesso stato l’alleato indispensabile a farlo inciampare e a tenerlo in ostaggio, diventando a volte anche il suo oppositore più agguerrito. Ben-Gvir ha i suoi piani e i suoi sostenitori, ha già detto che vorrà tenere per sé il ministero della Pubblica sicurezza, mentre il suo alleato Bazel Smotrich vorrebbe la Difesa. Sono ministeri importanti ovunque, ma in particolar modo in uno stato come Israele, fare questa concessione per Netanyahu vorrebbe dire molto: accettare il primo ricatto, come fece anni fa con Avigdor Liberman, leader di Israel Beitenu, che ottenne il ministero degli Esteri poi della Difesa, è ancora un alleato ma sempre pronto a ricattare e a far cadere i governi. 

   

Sono molte le preoccupazioni legate invece all’unità dentro al paese, la campagna elettorale di Ben-Gvir è stata all’insegna del motto “morte ai terroristi”, rivisitazione di quello che prima presentava come un “morte agli arabi”, e non ha lanciato segnali di distensione dentro alla società israeliana. Lahav Harkov, giornalista del Jerusalem Post, ha notato che i messaggi principali di Ben-Gvir poco si discostano da quelli di Liberman, è solo un altro volto con toni diversi ma a condurre una campagna simile. A molti israeliani che ieri sera seguivano la nottata elettorale però non è piaciuta affatto la risposta del numero due di Ben-Gvir.  Itzhak Waserlauf, quando un giornalista di Channel 11 gli ha domandato che messaggio avesse per il popolo di sinistra e il popolo arabo preoccupati per il risultato dell’estrema destra, ha risposto: dovrebbero continuare a preoccuparsi.

 

Questo è ciò che Yair Lapid
spera ora. Il suo partito Yesh Atid è cresciuto, ma a spese dei partiti alla sua sinistra, Labour e Meretz. Sono stati ridotti alle loro ossa nude, varcando appena la soglia. Se deve lasciare l'incarico dopo soli quattro mesi da premier, troverà molto difficile raccogliere un'opposizione scontenta al nuovo governo religioso e di estrema destra.

 

Un dato che non è ancora chiaro è l'affluenza finale nella comunità araba. Nelle elezioni precedenti, un'affluenza alle urne araba del 44 per cento è stata sufficiente per vincere 10 seggi alla Knesset per la Lista congiunta e la Lista degli arabi uniti. In questi exit poll, sono attualmente scesi a nove seggi, nonostante l'affluenza alle urne degli arabi sia salita a circa il 55%. Se è così, è chiaro che lo scioglimento della Joint List è ciò che ha dato a Netanyahu la sua maggioranza (sebbene se Balad varcherà la soglia, ciò cambierà).

 

Sulla base degli exit poll, sembra che in numeri assoluti il ​​blocco anti-Netanyahu abbia effettivamente ottenuto più voti. Ma Netanyahu ha tenuto unito il suo campo, presentando solo quattro liste ristrette di candidati, mentre la frattura del centrosinistra e dei partiti arabi a più biglietti potrebbe alla fine essere costata loro le elezioni.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.