Gli inni della resistenza

L'attacco russo senza precedenti ricuce lo strappo tra ucraini e americani

Putin non vuole la pace e dopo più di sette mesi sa che i missili sui civili non portano gli ucraini ad arrendersi: cantano l'inno nazionale mentre lui li bombarda e Zelensky esce in strada

Cecilia Sala

Il presidente russo non ha solo sferrato un attacco di cui è impossibile mascherare la crudeltà, ha sprecato una risorsa militare preziosa e ha fatto di più: ha ricucito le crepe tra i suoi nemici, tra Kyiv e Washington. Ricapitoliamo gli ultimi fatti 

“Ragazza mia, perché hai i capelli sciolti e le lacrime agli occhi?” è il ritornello di una canzone popolare ucraina che è stata cantata ieri mattina, insieme all’inno nazionale, nella fermata Nyvky della metropolitana-rifugio di Kyiv. Sembra il primo giorno di guerra, con una differenza: gli ucraini non pensano che Vladimir Putin possa vincerla. Il ponte di Kerch, che collega Russia e Crimea, è stato colpito prima dell’alba di un giorno festivo: quando il traffico civile è poco. La capitale ucraina è stata colpita alle otto di mattina di un lunedì, nell’ora di punta, per fare più male possibile. Il presidente della Russia non ha solo sferrato un attacco di cui è impossibile mascherare la crudeltà, ha sprecato una risorsa militare preziosa e ha fatto di più: ha ricucito le crepe tra i suoi nemici. Ricapitoliamo gli ultimi fatti. 

  

Mercoledì sera il New York Times pubblica questa notizia: secondo i funzionari degli Stati Uniti (il giornale ha sentito fonti del Pentagono come dell’intelligence), dietro all’autobomba a Mosca che ha ucciso Daria Dugina, ma probabilmente mirava al padre, c’erano pezzi del governo di Kyiv. Gli americani non lo sapevano e se lo avessero saputo lo avrebbero impedito, quando lo hanno scoperto si sono arrabbiati – dicono i funzionari. Autorevoli analisti commentano la rivelazione dicendo: è un avvertimento da parte di Washington e un modo per bloccare una prossima operazione simile. Tre giorni dopo, all’alba di sabato, c’è un’operazione che non può essere definita simile – la Crimea, secondo il diritto internazionale, è parte dell’Ucraina – ma che avviene tremendamente vicino al territorio russo e in un punto sensibile per il Cremlino: il ponte di Kerch che collega la Federazione alla penisola occupata. Mentre il ponte brucia il consigliere di Zelensky Mykhailo Podolyak rivendica, di fatto, l’attacco. Era questo l’evento che gli americani (consapevoli che quel ponte è un obiettivo militare su cui passano armi e munizioni che poi le truppe russe utilizzano contro gli ucraini) in un momento come questo avrebbero preferito fosse evitato? Non lo sappiamo ma, a distanza di poche ore, Podolyak si rimangia la rivendicazione dell’attacco. 

  

Ieri nel centro di Kyiv si è aperta una voragine in un parco giochi, c’era un cadavere in mezzo alla strada su un grande viale accanto alle auto saltate in aria di chi si trovava nel traffico per andare a lavoro o portare i figli a scuola. E’ un atto terroristico ma non siamo a marzo, Vladimir Putin oggi sa che queste tecniche non hanno mai funzionato per costringere gli ucraini alla resa: cantano l’inno nazionale mentre lui li bombarda. Il presidente Zelensky esce all’aperto e intanto suona la sirena antiaerea (ieri il lamento è durato per cinque ore, è stato il più lungo di sempre), registra il suo videomessaggio con il telefono davanti al complesso presidenziale: “Questa mattina è difficile. Abbiamo a che fare con dei terroristi. Arrivano decine di missili e i droni iraniani sulle città ucraine”. Piovono settantacinque missili in due ore, quarantuno vengono intercettati dalla contraerea ucraina regalata dagli alleati di Kyiv. Quelli russi sono missili da crociera Kalibr, i migliori nell’arsenale del Cremlino: coprono lunghe distanze e sono quelli che colpiscono in modo più preciso perché contengono una tecnologia avanzata, tra le sanzioni occidentali l’embargo tecnologico è quello che sta mostrando i suoi effetti più rapidamente e sostituire i Kalibr consumati è diventato molto più difficile. Dal punto di vista militare il bombardamento di ieri non ha cambiato lo svantaggio di Putin sul campo e lui ha sprecato un’arma preziosa per colpire statue di poetesse, ponti pedonali dove si va a guardare il tramonto, aiuole con i fiori e civili inermi. 

  
Putin non vuole la pace e ieri, oltre ad aver ammazzato dei civili e averne lasciati molti altri senza luce e acqua calda, ha annullato i punti di disaccordo tra l’Ucraina e i suoi alleati. Fino a domenica erano gli occidentali a fare ammonimenti e richieste, oggi l’unica domanda che Joe Biden e i leader europei possono  rivolgere a Zelensky è, di nuovo: “Di cosa hai bisogno?”.