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Mahsa Amini è la scintilla che ha dato il via alle rivolte in Iran

Antonia Ferri

Dopo la morte della giovane ragazza curda che indossava male il suo hijab, migliaia di persone sono scese in piazza a manifestare contro il regime in tutto il paese

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Mahsa Amini non era la prima e non sarebbe stata l'ultima. Forse è stata proprio questa consapevolezza, insieme agli anni di leggi repressive e di abusi da parte della polizia morale, che ha innescato le proteste. Manifestazioni che da giorni si tengono in diverse città iraniane, dalla capitale Teheran alle province del Kurdistan iraniano, dove era nata Mahsa Amini. La sua storia in particolare, quella di una ragazza di 22 anni, curda, in vacanza a Teheran, fermata dalla polizia morale perché i suoi capelli uscivano dall'hijab e morta tre giorni dopo mentre era agli arresti, si inserisce all'interno di quella più grande dell'Iran, fatta di sopraffazioni e malcontento verso il regime degli ayatollah. 

 

Nel paese del presidente Ebrahim Raisi e della guida suprema Ali Khamenei, ieri sono morte cinque persone. Da sabato ci sono manifestazioni e scontri, sempre più violenti, con la polizia, che usa bastoni, lacrimogeni, proiettili di gomma e cannoni ad acqua per disperdere chi protesta. Dal 17 settembre, il giorno dei funerali di Mahsa Amini, morta molto probabilmente a causa delle percosse in carcere, sono scoppiate le rivolte represse nel sangue. Prima a Saquez, nella città natale di Amini, e poi in tutto il paese, fino a Teheran, quando ieri gli studenti di tre università sono scesi in piazza.

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Nella zona del Kurdistan iraniano, nelle città di Divandareh, Dehglan e Saquez la polizia ha usato proiettili veri e sparato sulla folla uccidendo alcuni dei manifestanti. Due a Saquez, due a Divandareh e uno a Dehglan. Nelle province curde 221 persone sono state ferite e 250 sono state arrestate sin dall'inizio delle proteste. A Bukan, una bambina di dieci anni è stata ferita. Le immagini del suo ferimento sono circolate molto sui social media bucando la censura iraniana. 

 

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La situazione è diversa a Teheran, dove ci sono state molte proteste pacifiche con centinaia di studenti usando striscioni con le immagini di Mahsa Amini.  In segno di protesta, donne e uomini iraniani bruciano gli hijab in mezzo alla strada, le donne si tagliano i capelli, gli uomini se li rasano. Chiedono la fine della polizia morale, in una più ampia situazione di frustrazione culturale, ma anche sociale, politica ed economica. E che ricorda gli inizi della "Rivoluzione verde" del 2009 contro le elezioni di Mahmoud Ahmadinejad e dei moti del 2018, che fecero centinaia di vittime.

 

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Le rivolte, come le manifestazioni pacifiche, stanno diventando un'arma contro le guide dell'Iran, tanto da aver portato alla sospensione del colonnello Ahmed Mirzaei, capo della polizia religiosa. Secondo diversi analisti e media, sembra difficile che il fenomeno innescato da Mahsa Amini si possa fermare qui. E così, una singola "badhejabì", una "donna che ha messo male il velo", ha dato la forza al paese per chiedere ancora una volta un cambiamento, in una fase particolarmente delicata per l'Iran: la salute della sua guida suprema, Ali Khamenei, sembra precaria. 

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