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Il vero scandalo dell'intervista a Zelensky e sua moglie non è che sia su Vogue

Fabiana Giacomotti

Il problema è veramente il carattere della rivista? Domanda sciocca. Forse bisognerebbe concentrarsi sulle ragioni e mobilitazioni politiche che hanno fatto sì che i due coniugi vi apparissero

Nella gran polemica scoppiata attorno all’intervista dei coniugi Zelensky a Vogue America (perché sì, parla anche lui, il presidente Volodymyr, e dice purtroppo le cose da pianerottolo che diceva fino all’anno scorso ai rotocalchi ucraini, tipo “mia moglie è la mia migliore amica”), vale la pena di ricordare una cosa, e cioè che le prime immagini dei campi di concentramento liberati dagli alleati non vennero diffuse dai quotidiani politici, dai “giornaloni” come usa dire adesso dimenticando quanto battaglino ogni giorno per tagliare il traguardo dello scoop sul divorzio di Totti, ma dallo stesso Vogue America. Le firmava la mitologica Lee Miller, embedded con le truppe americane dallo sbarco in Normandia, ma in realtà già accreditata dal 1943 come reporter di guerra. Il titolo del servizio era “Believe it”, ed è quello per cui combattiamo ancora adesso. Credeteci. Un volto scavato con la giacca a righe, una pila di ossa bianche di calce scattate “a Buchenwald vicino a Weimar” spuntavano fra le pagine di gonne strette e corte dei razionamenti tessili e i suggerimenti per trarre il meglio dall’economia di guerra. 

 

Dirigeva la rivista un’altra figura mitologica dell’editoria mondiale, Edna Woolman Chase, filantropa, grande sostenitrice dell’educazione universitaria femminile e grandissima scopritrice di talenti. Pubblicò per prima quello che si sarebbe visto solo a Norimberga, senza pensare per un secondo a quello a cui invece stiamo pensando noi adesso, e cioè all’opportunità o meno che “una rivista glamour” pubblichi un servizio elegante al presidente di una nazione in guerra. Anzi, per essere precisi attaccata e minacciata nella propria sovranità. D’accordo, nel 1945 non c’era il tribunale popolare e sempre tricoteur dei social a esprimere la propria indignazione, ma pare che nessuno si scandalizzò per l’abbinamento fra le ossa dell’orrore impaginate a tre pagine di distanza da quelle eleganti delle modelle. Piuttosto, volendo dirla, anzi, scriverla tutta, ci sono parecchie cose che perplimono, in quel servizio, e non sono di certo le immagini di Olena Zelenska colta da Annie Leibovitz in tuta en pendant cromatico con i sacchi di sabbia di quello che, a quanto si legge nell’articolo, è uno dei rifugi presidenziali. E non è nemmeno le foto seppiata di lei in cappottino couture mentre cammina pensierosa fra i soldati in mimetica. Quelle sono vanitose banalità e un giudizio clamorosamente errato sulla scala dei valori europei che no, non sono superficiali come amano apparire.

 

Quello che suscita davvero qualche dubbio sul servizio agli Zelensky – che ci permettiamo di dubitare abbiano sollecitato in prima persona Anna Wintour, il mandato arriva piuttosto da Washington, che con l’editore Condé Nast ha rapporti strettissimi dall’epoca dei Kennedy, siatene certi – è il racconto dell’articolista sulle mosse, i corridoi fisici e politici e la mobilitazione che hanno portato alla sua realizzazione. Ai costi per la sicurezza di una troupe e di un servizio di styling di gran firma (credete che Leibovitz verrebbe anche sotto casa vostra senza assicurazione?), a tutti i non detti di questa operazione puramente politica. Proprio per questo, giudicare sciocco il servizio degli Zelensky perché apparso su una rivista di moda è cosa molto sciocca.

  

P.s. Giunge voce che l'operazione, guidata da Anna Wintour, sia stata messa a punto con il supporto di Vogue Ucraina e degli "stilisti emergenti" che Olena Zelenska, come ogni first lady della storia, ha indossato. E che sia stato scelto Vogue UK per pubblicarlo per ragioni di opportunità politica. Come se non fosse chiaro chi e come guida l'iniziativa. Costata, a occhio e croce, un milione di dollari (Il costo di Annie Leibovitz e' di duecentomila al giorno)

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