l'altro medio oriente

Putin incontra l'iraniano Raisi e il turco Erdogan con un'arma in mano: la Siria 

Micol Flammini

Il presidente russo va in Iran per portare scompiglio dove Joe Biden è andato per riordinare. Le alleanze, i temi, i personaggi dell'incontro a Teheran

Il viaggio di Joe Biden in medio oriente era guidato dalla volontà di costruire un nuovo sistema di alleanze che ampliasse gli Accordi di Abramo e avviasse la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita. Gerusalemme ha dato il suo via libera a un accordo su due isole strategiche nel Mar Rosso e Riad ha aperto il suo spazio aereo ai voli da e per Israele: Joe Biden è stato il primo presidente americano a volare direttamente da Tel Aviv a Gedda. C’è ancora molto da fare, ma la nuova struttura del medio oriente è avviata, la cooperazione tra Israele e i paesi del Golfo è  più ampia e concreta. E’ stata una settimana costruttiva, ma la prossima, potrebbe essere l’opposto. 

 

Martedì Vladimir Putin andrà a Teheran, incontrerà il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, e il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Il Cremlino ha annunciato la visita poco prima che Biden partisse per Israele e il presidente russo ha intenzione di andare ora a mettere la sua impronta in medio oriente parlando con il principale avversario americano nell’area: l’Iran. Russia, Turchia e Iran sono i paesi impegnati nel processo di Astana, un processo di pace per la soluzione della guerra in Siria e che, volutamente, esclude gli Stati Uniti. Il momento è importante perché la scorsa settimana la Russia si è opposta al rinnovo per un anno dell’intesa sul valico di Bab al Hawa che collega Turchia e Siria e  l’Onu lo utilizzava per portare gli aiuti umanitari nella zona di Idlib, dove si trovano le milizie sostenute da Ankara. L’intesa è stata prorogata soltanto di sei mesi. L’equazione è semplice: Putin sostiene da sempre il regime di Bashar el Assad (come l’Iran), Erdogan i miliziani che sono contro il regime, Putin ha usato il suo voto presso le Nazioni Unite per sostenere Assad.  Da mesi il presidente turco minaccia di voler intraprendere una nuova offensiva militare contro i gruppi curdi nelle aree di Tal Rifaat e Manbij, e a Teheran potrebbe fare pressione su Putin e Raisi affinché sostengano l’operazione. Il formato di Astana, viste le condizioni, sembra quindi più intenzionato a peggiorare la situazione in Siria che a migliorarla. Il rischio di nuovi tormenti in medio oriente e poi in Europa è alto, ma questo per Putin sarà il secondo viaggio che compie dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina e il presidente russo si sposta poco e malvolentieri, se va a Teheran è perché ritiene che ne valga la pena. 

 

   

Oltre all’incontro a tre, Putin terrà dei bilaterali con i suoi omologhi. Il viaggio di Biden tra Israele e Arabia Saudita aveva come scopo quello di rafforzare la coalizione anti iraniana in medio oriente, il presidente americano ha detto a Gerusalemme che è convinto che tutto possa risolversi con la diplomazia, ma se già il precedente presidente iraniano, Hassan Rohani, sembrava aver perso interesse per la diplomazia, Raisi ha un atteggiamento decisamente più falco. Mosca e Teheran sono paesi colpiti con forza  dalle sanzioni e l’incontro servirà anche a promuovere una maggiore cooperazione tra di loro. Non sono due nazioni storicamente amiche, sono diventate alleate in Siria e ora che sono sempre più isolate hanno trovato un punto di interesse in comune nell’opposizione agli Stati Uniti. Questa settimana il consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha detto che la Russia intende comprare dall’Iran centinaia di droni. L’Iran ha cercato di aumentare la sua produzione di armi, aprendo anche uno stabilimento in Tagikistan, ma secondo alcuni esperti militari non avrebbe la possibilità di mandarne così tanti a Mosca da usare in Ucraina.  La cooperazione in fatto di armi tra Mosca e Teheran esiste già, è reciproca e all’inizio della guerra il quotidiano inglese Guardian era venuto a conoscenza di un sistema di traffico tramite il quale le reti di contrabbando iraniane riuscivano a rifornire la Russia di munizioni da utilizzare contro Kyiv. 

 

Il rapporto tra Putin ed Erdogan invece è più complesso: nemici ovunque, ma sempre cordiali, trovano il modo di mettersi d’accordo di solito su tutto e senza mai scontentarsi. Erdogan ha poi l’abilità di essere presente a tutti i tavoli negoziali che interessano l’occidente e i due presidenti sanno anche che possono usarsi a vicenda per indispettire americani ed europei. Erdogan vuole dimostrare di poter gestire la crisi del grano bloccato in Ucraina e per farlo deve convincere Putin ad acconsentire al passaggio di  corridoi umanitari. Nello stesso tempo vuole risolvere con il presidente russo la questione del blocco degli aiuti a Idlib. 

 

Questo trio riunito a Teheran sarà il contraltare del viaggio di Biden, al quale Putin intende dare uno schiaffo diplomatico e soprattutto vuole dimostrare che dove il presidente americano è passato per costruire e per stabilizzare, lui può passare per fare il contrario. E in mano ha un’arma molto forte: la Siria. 

 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.