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Editoriale

L'instabilità democratica dell'Europa sembra un successo per il Cremlino

Redazione

Putin gioisce per l’occidente politicamente fragile, dopo le crisi politiche di Bulgaria, Estonia, Regno Unito e per l'ultima l'Italia. Ma ne sottovaluta la resistenza e la compattezza in difesa dei valori

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Le dimissioni di Mario Draghi, uno dei leader europei che hanno preso una posizione più decisa contro l’invasione russa dell’Ucraina, faranno contento l’inquilino del Cremlino. In questi mesi in Europa ci sono state diverse crisi politiche, direttamente o indirettamente influenzate dalla guerra in Ucraina e dalle sue conseguenze. La Bulgaria si avvicina alle elezioni anticipate dopo la caduta del governo di Kiril Petkov che, contrariamente alle tradizioni bulgare, ha preso una posizione dura contro la guerra di Putin. Petkov ha denunciato le interferenze russe come determinanti per la caduta del suo governo. In Estonia, dove c’è una forte minoranza russa, la premier Kaja Kallas ha disfatto la coalizione di governo e ha estromesso i filorussi. Nel Regno Unito Boris Johnson, probabilmente il miglior alleato di Zelensky, lascerà Downing Street dopo una serie di scandali. In Francia Emmanuel Macron è stato rieletto ma ha perso la maggioranza parlamentare, a causa soprattutto del deterioramento dell’economia. Infine, negli Stati Uniti Joe Biden rischia una disfatta alle elezioni di metà mandato a causa dell’inflazione rampante e dell’aumento del prezzo dell’energia. Tutte queste crisi hanno cause diverse ma probabilmente sono state alimentate dalle conseguenze della guerra: inflazione, crisi energetica, rallentamento della crescita. E sembrano mostrare una fragilità delle democrazie nel sostenere i costi di un confronto duro con le autocrazie. Putin, ovviamente, vede come un successo l’instabilità politica: destabilizzare l’Europa e l’occidente è la sua missione da anni. Ma queste crisi possono anche far emergere la forza e la resilienza delle democrazie, se queste dimostrano di essere capaci di cambiare i governi e le maggioranze senza mettere in discussione le linee di fondo della politica estera. Se, cioè, dopo lo scontro sulle questioni interne le forze politiche sanno ricompattarsi attorno alla difesa dei valori non negoziabili delle liberaldemocrazie violentemente aggrediti da Putin.

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