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L’embargo europeo costringe la Russia a ridurre la produzione di petrolio

Federico Bosco

IL Cremlino vede l’effetto sanzioni. Il ministro delle finanze russo Anton Siluanov ha detto che quest’anno la produzione di petrolio potrebbe diminuire del 17 per cento: -2 milioni di barili al giorno

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Grazie alle enormi riserve di petrolio e gas  la Russia si è affermata come gigante globale dell’energia, ma con l’intensificarsi della pressione sanzionatoria il futuro della principale industria del paese non è roseo. Il gas per il momento è fuori discussione, ma l’Unione europea ha approvato un embargo del petrolio importato via mare che, nonostante la temporanea esenzione del greggio che arriva via  oleodotto, dalla fine di quest’anno ridurrà le importazioni dalla Russia del 90 per cento. Per capire l’impatto per Mosca, l’anno scorso l’Ue ha assorbito più della metà del petrolio russo. 

 

Dall’inizio della guerra in Ucraina, anche senza sanzioni il petrolio russo ha subito un crescente boicottaggio. Secondo OilX ad aprile la produzione è scesa di un milione di barili al giorno rispetto al mese precedente (10 milioni rispetto agli 11 di marzo). Il ministro delle finanze russo Anton Siluanov ha detto che quest’anno la produzione potrebbe diminuire del 17 per cento: -2 milioni di barili al giorno. Stime confermate dalla statunitense Energy information administration (Eia), secondo cui quest’anno la produzione russa passerà da 11,3 milioni di barili al giorno nel primo trimestre a 9,3 milioni nel quarto. La stima tiene conto solo dell’embargo Ue e non delle sanzioni sulle assicurazioni navali, perciò l’Eia sottolinea che la produzione potrebbe calare anche più del previsto, creando un ulteriore rialzo dei prezzi. La principale contraddizione dell’embargo infatti è che il rialzo dei prezzi permette a Mosca di guadagnare ancora molto con il petrolio pur vendendone meno. Una fortuna che però non è destinata a durare

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Su Project Syndicate l’economista Daniel Gros spiega che gli alti prezzi globali del petrolio significano che, anche con sconti di  20-30 dollari al barile rispetto al Brent, la Russia riesce ancora a incassare 80-90 dollari dal suo Ural superando gli incassi di un anno fa. Se però il prezzo dovesse tornare in equilibrio (circa 80 dollari), il margine di guadagno crollerebbe drasticamente. E’ per questo motivo che la Casa Bianca sta facendo pressione sull’Arabia Saudita affinché aumenti la produzione, anche a costo di “riabilitare” il principe ereditario Mohammed Bin Salman con una visita ufficiale di Joe Biden. Intanto, Mosca ha già iniziato a guadagnare meno, nonostante le spedizioni siano al massimo da sei settimane. I grandi sconti che le compagnie russe devono offrire agli acquirenti asiatici per accaparrarsi i barili respinti dall’Europa infatti non sono l’eccezione: sono la regola. 

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La Russia ripone grande speranza nei mercati di India e Cina, ma reindirizzare le esportazioni dall’Europa all'Asia è  complicato: la capacità di trasporto marittimo è insufficiente (non esistono fisicamente abbastanza petroliere da occupare per i giorni di viaggio in più), e alle limitazioni logistiche si aggiungono quelle legali delle sanzioni sul settore  assicurativo. L'India ha aumentato le importazioni di petrolio russo a prezzi scontati, e si prevede che  la Cina faccia lo stesso. Finora però non sono stati conclusi accordi definitivi. Delhi e Pechino sanno di aver dalla loro parte tutto il potere negoziale per poter imporre il loro “price-cap” senza fare regali a Mosca (una lezione questa di cui molte capitali europee dovrebbero fare tesoro). 

 

Per le compagnie petrolifere russe il calo della produzione, gli incassi ridotti e le sanzioni che pregiudicano lo sviluppo tecnologico avranno come conseguenza il declino del settore per l’incapacità di sviluppare nuove giacimenti ed entrare in nuovi mercati. Le sanzioni non servono a far cambiare idea a un regime, né a spingere una popolazione alla rivolta. Il principale scopo delle sanzioni è ridurre la capacità offensiva di uno stato ostile limitandone l’economia, e anche se ci vorrà tempo, a Mosca si stanno già rendendo conto della loro efficacia.

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