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Il colloquio

La strage dei fatti oltre a quella delle scuole. Parla Elizabeth Williamson

Matteo Muzio

I complottismi sugli studenti uccisi “servono ad avvelenare il dibattito”, ci dice l'autrice del libro “Sandy Hook. An American Tragedy and the Battle for Truth”

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Una scia di sangue lunga dieci anni, dalla scuola di Sandy Hook a Uvalde, dove i protagonisti non sono soltanto gli assassini solitari, persone spesso isolate e con problemi mentali, ma anche un sottobosco cresciuto sui forum oscuri del web che poi hanno trovato una sponda nel quadriennio trumpiano. Fino a oggi, dove qualcuno di loro è andato oltre Trump, ritenuto ormai superato e imbolsito. Quindi queste stragi non sono mai esistite, sono state messe in atto da attori pagati per sensibilizzare l’opinione pubblica e renderla più malleabile per varare leggi sul controllo delle armi. O, per dirla con il linguaggio di questo fronte,  “vogliono togliervi le vostre armi”. E quindi questi figuranti fraudolenti vanno minacciati, affinché svelino “il grande complotto”. 

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Una scia di sangue lunga dieci anni, dalla scuola di Sandy Hook a Uvalde, dove i protagonisti non sono soltanto gli assassini solitari, persone spesso isolate e con problemi mentali, ma anche un sottobosco cresciuto sui forum oscuri del web che poi hanno trovato una sponda nel quadriennio trumpiano. Fino a oggi, dove qualcuno di loro è andato oltre Trump, ritenuto ormai superato e imbolsito. Quindi queste stragi non sono mai esistite, sono state messe in atto da attori pagati per sensibilizzare l’opinione pubblica e renderla più malleabile per varare leggi sul controllo delle armi. O, per dirla con il linguaggio di questo fronte,  “vogliono togliervi le vostre armi”. E quindi questi figuranti fraudolenti vanno minacciati, affinché svelino “il grande complotto”. 

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Elizabeth Williamson, autrice del libro “Sandy Hook. An American Tragedy and the Battle for Truth”, è una veterana del giornalismo politico: ha lavorato al Washington Post e al Wall Street Journal durante la presidenza di Barack Obama, prima di passare al New York Times durante la campagna elettorale del 2016. All’epoca uno dei sostenitori della teoria del complotto, l’imbonitore radiofonico Alex Jones, fondatore del portale Infowars, aveva sostenuto l’elezione di Trump tanto che, il giorno successivo al voto, il presidente eletto lo chiamò per ringraziarlo dell’aiuto.

 

Williamson dice al Foglio: “In questi quasi dieci anni dalla strage di Sandy Hook non abbiamo imparato nulla. Il complottismo è sempre più attivo sui media e sta corrodendo il discorso pubblico e la democrazia”. All’epoca però la teoria delle cospirazioni era sostenuta solo da persone ai margini dei media mainstream, oggi, spiega Williamson, “è l’evento inevitabile dopo ogni sparatoria simile. E certe teorie vengono propagandate anche da eletti ai massimi livelli – come il deputato Paul Gosar, che ha diffuso la bufala che l’assassino fosse una trans clandestina di estrema sinistra. Gli obiettivi sono diversi: avvelenare il discorso pubblico, cambiare argomento per distrarre l’opinione pubblica, anestetizzare il pubblico per evitare qualsiasi possibile discorso su una eventuale legge sul controllo delle armi”. 

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Non si tratta, nota l’autrice, di una novità assoluta. Lo storico Richard Hofstadter, nel 1964, scrisse un saggio intitolato “Lo stile paranoide della politica americana”, che descrive il complottismo come una caratteristica ineliminabile della politica americana e che lega ai sostenitori dell’allora candidato repubblicano alla presidenza Barry Goldwater. “Ho intervistato la storica Kathryn Olmsted a riguardo e, oltre ad aver affermato che anche all’epoca dei Padri Fondatori si parlava dei cattolici o della ‘grande finanza’ come di una minaccia latente al progetto americano, mi ha spiegato che questa cosa deriva dalla difficoltà a definire la propria identità nazionale. Ogni gruppo, quando vuole rafforzarsi nella concezione di sé, se la prende con qualche nemico che crea dal nulla per la cosiddetta ‘ansia di status’, una sorta di angoscia esistenziale quando si fatica ad autodefinirsi”.

I collegamenti tra Sandy Hook e la strage di Uvalde però sono ancora più diretti. In modo peraltro desolante: “Tony Mead è uno dei creatori del gruppo Facebook ‘La bufala di Sandy Hook’, creato a fine 2012 e che per un periodo ha avuto migliaia di iscritti. La sua cancellazione è avvenuta solo cinque anni dopo, su pressione delle famiglie delle vittime. Oggi Mead ha postato tra i primi uno status che definisce la sparatoria di Uvalde una bufala. Per anni ha tormentato e minacciato i genitori dei bambini di Sandy Hook e oggi uno di loro, Lenny Pozner, mi ha segnalato questo post. Persone come Lenny hanno dedicato la propria vita a combattere questa velenosa disinformazione e ha già raccolto una serie di account e di indirizzi web che diffondono bufale su Uvalde”. 

Williamson ci tiene a precisare che il suo libro non è “sul controllo delle armi”, anzi: “Lascio la questione agli esperti e definire così il mio testo può essere fuorviante. Al centro del mio saggio c’è invece la diffusione di notizie false che, come nel caso di Sandy Hook, stanno avvelenando anche la percezione degli eventi sulla scuola di Uvalde”. Anche per questo le possibili soluzioni al problema appaiono lontane e l’ennesimo appello del presidente Joe Biden rischia di cadere nel vuoto, così come accadde con i suoi sforzi per la restrizione delle armi d’assalto dopo i fatti di Sandy Hook

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