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le rivelazioni in un report

L’Onu accusa la Russia di crimini di guerra anche in Libia, dietro casa nostra

Luca Gambardella

Esplosivi nascosti dai mercenari della Wagner nelle case di Tripoli, persino nei peluche, per fare più vittime tra i civili. L'embargo non funziona e la missione europea Irini non ha abbastanza poteri per imporlo

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Un report riservato dell’Onu rivela che i mercenari russi hanno disseminato di mine e trappole esplosive diverse aree residenziali della Libia, inclusa la capitale Tripoli. Si tratta di una violazione grave del diritto internazionale, appurata da un team di esperti dell’Onu che monitora il rispetto dell’embargo sulle armi imposto nel paese. Gli esiti delle indagini, anticipati ieri dal Guardian, hanno appurato che i principali sospettati sono gli uomini della Wagner, la compagnia privata che il Cremlino usa da anni come testa di ponte anche in Ucraina, Siria, Repubblica centrafricana, Mali, Mozambico e Sudan. Il team dell’Onu ha anche rivelato quanto subdoli e spietati possano rivelarsi i metodi dei mercenari russi. Un esempio è la foto, allegata al rapporto, che mostra un colpo di mortaio attaccato al dorso di un peluche in una casa di Tripoli. L’esplosivo, un M95 da 120 mm, è di fabbricazione serba è ha un raggio letale di 24 metri. La testata fotografata nell’abitazione aveva anche altre componenti russe. L’esplosivo, oltre a essere stato piazzato con l’intento esplicito di uccidere civili inermi, è stato assemblato con materiali che in Libia non sarebbero potuti entrare. Secondo il report, i dispositivi sono stati piazzati in diverse aree della Tripolitania nel 2020, quando le forze del generale della Cirenaica Khalifa Haftar, che si avvalgono del supporto dei mercenari russi, si sono ritirate a est. 

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Un report riservato dell’Onu rivela che i mercenari russi hanno disseminato di mine e trappole esplosive diverse aree residenziali della Libia, inclusa la capitale Tripoli. Si tratta di una violazione grave del diritto internazionale, appurata da un team di esperti dell’Onu che monitora il rispetto dell’embargo sulle armi imposto nel paese. Gli esiti delle indagini, anticipati ieri dal Guardian, hanno appurato che i principali sospettati sono gli uomini della Wagner, la compagnia privata che il Cremlino usa da anni come testa di ponte anche in Ucraina, Siria, Repubblica centrafricana, Mali, Mozambico e Sudan. Il team dell’Onu ha anche rivelato quanto subdoli e spietati possano rivelarsi i metodi dei mercenari russi. Un esempio è la foto, allegata al rapporto, che mostra un colpo di mortaio attaccato al dorso di un peluche in una casa di Tripoli. L’esplosivo, un M95 da 120 mm, è di fabbricazione serba è ha un raggio letale di 24 metri. La testata fotografata nell’abitazione aveva anche altre componenti russe. L’esplosivo, oltre a essere stato piazzato con l’intento esplicito di uccidere civili inermi, è stato assemblato con materiali che in Libia non sarebbero potuti entrare. Secondo il report, i dispositivi sono stati piazzati in diverse aree della Tripolitania nel 2020, quando le forze del generale della Cirenaica Khalifa Haftar, che si avvalgono del supporto dei mercenari russi, si sono ritirate a est. 

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Anche in altri paesi, come in Mali, i mercenari russi si sono resi responsabili di crimini di guerra, ma il Cremlino ha sempre smentito ogni suo coinvolgimento. Nell’intervista rilasciata a Rete 4 all’inizio di maggio, il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, aveva detto che gli uomini della compagnia sono in Libia e in Mali solo “per motivi commerciali” e che il Mosca “non ha nulla a che fare” con loro. Anche Yevgeny Prigozhin, uomo d’affari considerato il direttore della Wagner e amico del presidente Vladimir Putin, ha sempre smentito di avere alcun ruolo nella compagnia. Si stima che ci siano 2 mila mercenari russi ancora operativi al fianco di Haftar, qualche centinaio in meno rispetto all’inizio della guerra in Ucraina. Il report dell’Onu ha contato 175 voli, con oltre 10 mila tonnellate di carico totale, provenienti dalla Russia e arrivati in Libia nel periodo che va dal 1° maggio 2021 al 31 marzo 2022. Numeri che dimostrano la volontà del Cremlino di restare in Libia nonostante la guerra in Ucraina e gli appelli della comunità internazionale rivolti alle forze straniere – inclusa la Turchia, che sostiene invece il governo di Tripoli – affinché abbandonassero il paese. “L’embargo delle armi in Libia è totalmente inefficace”, è l’ovvia conclusione del report. Non è una novità, ma in tempi di guerra con la Russia suona come una nota di allarme ulteriore, considerando che la Libia è ad appena qualche centinaia di miglia nautiche dall’Italia.

 

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Una delle fonti del report dell’Onu è la missione aeronavale dell’Ue Irini. E’ a guida italiana, comandata attualmente dal contrammiraglio Stefano Turchetto. L’obiettivo principale è di sorvegliare il rispetto dell’embargo delle armi in Libia e per farlo gli uomini di Irini fanno ispezioni a bordo delle navi cargo che attraversano il Mediterraneo e si dirigono in Libia. Ma finora  i limiti dimostrati dalla missione sono molti. Tripoli ha sempre negato a Irini l’accesso al suo spazio aereo, nonostante la gran parte dei carichi di armi arrivi proprio con ponti aerei provenienti da Turchia, Emirati Arabi Uniti e Russia. Molti dei rifornimenti russi ed emiratini arrivano alla base libica di al Khadim ma fanno prima scalo in Egitto, alla base aerea di Sidi Barrani. Il Cairo si rende così parte attiva nelle violazioni dell’embargo da parte di Mosca e Abu Dhabi, ma è stata scelta comunque dall’Onu come luogo “neutrale” dove tenere i negoziati, tutt’ora in corso, tra le delegazioni di est e ovest della Libia. 

 

Finora Irini si è limitata a osservare e a prendere nota, passando all’Onu le informazioni raccolte sulle violazioni dell’embargo. Peraltro, con altri aspetti paradossali: per fare ispezioni a bordo delle navi sospette serve che il paese di bandiera dia l’autorizzazione. Dal 2020 a oggi, Ankara ha negato ben sette volte ai militari di Irini l’abbordaggio dei suoi cargo. L’ultima volta, lo scorso 19 maggio, è successo con la porta container MV Kosovac. Il giorno dopo, con una mossa comunicativa inconsueta, l’ufficio stampa di Irini ha reso pubblico l’episodio sui social, scrivendo che la Turchia aveva rifiutato di fare ispezionare la nave. Nel tweet in cui dava la notizia ha taggato anche Peter Stano e Nabila Massrali, due portavoce dell’Ue. Come a dire: vedete? Non sappiamo più cos’altro fare.

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