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La bozza della sentenza

Riconsiderare il “diritto assoluto all’aborto” sarebbe il frutto di un’evoluzione del diritto

Giuliano Ferrara

I nemici della Corte Suprema criticano l'organismo fondamentale della democrazia americana ma trumpismo e privacy non c’entrano. In realtà accettare il documento Alito sarebbe affermare un diritto legittimo

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Tra le stupidaggini da evitare nel giudizio sul promemoria di Samuel Alito a proposito della sentenza Roe vs Wade del 1973 sulla libertà di scelta della donna in materia di aborto, in nome della privacy, c’è una visione distorta della Corte suprema americana. Ci sarebbe una maggioranza trumpiana di nominati che ora rovescia una conquista progressista di cinquanta anni fa in materia di diritti. Non c’è una maggioranza trumpiana, come dimostra l’indisponibilità della Corte a sostenere gli sforzi immani del partito trumpista nel tentativo di boicottare e capovolgere l’esito delle elezioni presidenziali, vera sfida esistenziale alla quale Trump, con i moti del 6 gennaio e il piano ordito per scardinare l’esito del voto, si è applicato compromettendo definitivamente una virtù che peraltro non possedeva, la decenza istituzionale (e commettendo un crimine). E come dimostra una lunga storia di giurisprudenza costituzionale riconosciuta come salda base dei poteri divisi e dei controlli voluti dai Padri fondatori della democrazia americana.

La Corte suprema, della quale si è scritto e si scrive in abbondanza in sede storica e giuridica e di costume politico, è un organismo assai serio, solido, complesso, forte di una tradizione di sistema che è tra i fondamenti della democrazia liberale negli Stati Uniti. I nemici del sistema americano naturalmente criticano e duramente il suo ruolo, la sua cultura, la sua o le sue dottrine in competizione quanto al rapporto da stabilire con la Costituzione scritta più antica del mondo e con la dichiarazione di indipendenza, a partire dal famoso “originalismo” ovvero l’aderenza assoluta agli intenti con cui gli articoli della Carta furono scritti. Ma esiste, al di fuori delle radicalizzazioni ideologiche alla Chomsky o alla Gore Vidal e altre, un consenso trasversale ampio di riconoscimento, nel dissenso e nell’opposizione dei punti di vista, della centralità e autonomia istituzionale della Corte, nella sua imparzialità. Lo testimonia tra l’altro la bella storia di conflitti e di amicizia personale fra Ruth Bader Ginsburg e Antonin Scalia, compianti esponenti di rilievo di quel consesso, l’una progressista e l’altro conservatore.

Così, se il documento Alito rivelato dal blog The Politico si trasformerà in sentenza di revisione della Roe vs Wade, cinquant’anni dopo, vorrà dire che l’affidamento della questione aborto alle legislazioni statali, sottraendolo al principio della privacy personale, riflette un punto di vista costituzionale, punto e basta. Chiunque capisce che nella questione dell’interruzione volontaria di gravidanza e dei suoi modi è implicato qualcosa o qualcuno che sta al di fuori del perimetro della privacy, per quanto forte sia la tendenza legittima a considerare il corpo femminile inviolabile al momento di una decisione personale o soggettiva. In cinquant’anni, più che il ritorno all’osservanza di una qualche dogmatica morale o religiosa, abbiamo imparato dalla biologia tante cose decisive, raffigurate anche in immagini indiscutibili e ricerche avanzatissime, a proposito della presenza reale, cromosomicamente distinta e vitalmente attiva, di un essere diverso e autonomo dalla donna nel suo corpo al momento del concepimento e della gestazione. 

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Con gli esiti possibili del documento Alito si tornerebbe a favorire una legislazione ad hoc, invece che l’affermazione generale di un diritto. Il che è pienamente legittimo e, a mio parere, del tutto giusto. Anche nel fronte legislativo e normativo europeo e occidentale in questo mezzo secolo è avvenuta una trasformazione deleteria: dalle leggi che regolano e tutelano la maternità, con tutti i se e i ma e le condizioni di rito, si è passati a una concezione libertaria del diritto all’aborto che grida scandalo e scavalca del tutto il problema del concepito. Con la Ru486 o pillola abortiva, poi, la privacy è diventata solitudine nella scelta della donna, e completo isolamento dalla connessione sociale del problema della vita. Di più, si è affermata una sorta di pianificazione abortiva (Planned Parenthood) come soluzione delle questioni della natalità auspicata e incrementata dalle applicazioni inaudite dell’ingegneria genetica. Altro che aborto raro e sicuro. Bisogna battersi perché non si torni alla penalizzazione criminale della donna che rifiuta un figlio concepito, ma in un ambito legislativo che tenda alla tutela del nascituro fino alla misura del possibile, con politiche pubbliche antiaborto di cui tutti ormai dovrebbero conoscere e riconoscere l’importanza. Non è un ritorno all’aborto clandestino o alla penalizzazione di donne e medici ciò di cui si parla, ma una riconsiderazione del “diritto assoluto all’aborto” può essere il frutto, più che di un inesistente colpo di mano dei conservatori o addirittura dei trumpiani, di una evoluzione comprensibile del diritto, che nascerebbe proprio là dove tutto era cominciato.

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