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Paradigma Kherson

Meglio il rischio della protesta che un referendum di sottomissione. L’ultima sfida a Putin

Paola Peduzzi

Non c’è città in Ucraina che più di Kherson si è opposta ai russi con le sue manifestazioni pacifiche, la bandiera blu e gialla in mano, un’unica voce: non vi vogliamo, andatevene

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Se c’è un luogo che mostra quanto Vladimir Putin abbia sbagliato i suoi calcoli in Ucraina e voglia emendarli con la forza questo è Kherson, la città sull’estuario del fiume Dnepr, occupata dai russi all’inizio dell’invasione poi liberatasi poi ripresa e infine destinata alla stessa sorte della Crimea: un referendum dovrebbe darle l’indipendenza dall’Ucraina, e l’annessione (o meglio assoggettamento) alla Russia. In questo tira e molla buona parte della città è andata distrutta e ancora nei giorni scorsi molti cercavano di scappare con ogni mezzo possibile, comprese le biciclette, per evitare la sottomissione. Buona parte di chi resta invece continua a protestare contro l’invasione russa: non c’è città in Ucraina che più di Kherson ha sfidato i russi con le sue manifestazioni pacifiche, la bandiera blu e gialla in mano, un’unica voce: non vi vogliamo, andatevene.

 

Proprio come la Crimea, Putin pensava che anche questa regione potesse essere conquistata con facilità perché la popolazione era per lo più filorussa e quindi docile nei confronti di Mosca. La prima parte del ragionamento è corretta: è una zona filorussa. Ma si può pretendere docilità dopo quasi due mesi di assedio e di repressione? Il consenso nei confronti di Mosca si è sgretolato assieme ai palazzi. I russi vogliono comunque applicare la loro formula: un referendum illegittimo che stabilisca quello che vuole il Cremlino. Gli abitanti di Kherson hanno preferito manifestare piuttosto che andare a votare: questo non fermerà i russi, ma un’altra annessione illegale può determinare nuove sanzioni. 

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