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Così Macron ha vinto anche la sfida più difficile

Jean-Pierre Darnis

Altri cinque anni all'Eliseo: come pochi prima di lui. Aperture su ecologia e laicità e una rinnovata empatia le chiavi della rielezione

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La vittoria di Emmanuel Macron contro Marine Le Pen al ballottaggio delle presidenziali francesi vede confermare la dinamica del primo turno nel quale il candidato-presidente si era affermato con un netto distacco nei confronti della sua rivale. Assorbito dai compiti internazionali, Emmanuel Macron aveva fatto una debolissima campagna per il primo turno, il che aveva lasciato spazio ai suoi contendenti, Marine Le Pen in testa. Per il secondo turno, si è rimesso in carreggiata con grande efficienza tornando a fare il candidato a tempo (quasi) pieno e dando anche la misura della sua capacità di comunicare con l’elettorato. Ha capito subito che alcune proposte riformiste come l’innalzamento dell’età pensionabile dovevano essere riformulate per non urtare la pancia del paese, e ha anche saputo presentare alcune aperture sull’ecologia ma anche sulla laicità suscettibili di favorire una forma se non di consenso perlomeno di non ostilità a sinistra.

 

L’essere riuscito ad arginare il rigetto della sua persona che si era fatto strada nell’elettorato è una delle chiavi di questa rielezione. Si tratta di un elemento fisiologico per una presidenza francese che dopo la riforma del 2000 associa la figura del presidente all’esercizio del potere esecutivo suscitando spesso la volontà di sbarazzarsene dopo i cinque anni del mandato. Questo logoramento della figura presidenziale era stato osservato già con Sarkozy e Hollande. A ciò si aggiunge la congiuntura: dai gilet gialli alla guerra in Ucraina passando per la pandemia, la presidenza Macron è stata particolarmente sofferta, contribuendo anche a una forma di rivolta contro chi la rappresenta. Infine, Macron suscita spesso forme di avversione nei confronti del suo stile e dei valori che sembra esprimere. A sinistra viene presentato come “ultraliberale,” il che se andiamo ad analizzare la sostanza delle sue politiche è fondamentalmente errato, ma quello che irrita sono il suo percorso e una personalità percepiti come espressione di una cultura manageriale di stampo anglosassone. Macron ha il merito di aver capito che il richiamo alla tradizionale come diga contro l’estrema destra funzionava ormai in modo limitato, e bisognava trovare proposte politiche nuove per accompagnare gli elettori in questa scelta. Tutto questo è stato espresso nel dibattito con Marine Le Pen, in cui Macron ha saputo essere combattivo senza esagerare ed evitando di mettere ko l’avversaria. E’ riuscito a convincere la parte favorevole del suo elettorato mostrando di avere delle competenze nettamente superiori a quelle della Le Pen, ma ha anche lasciato la Le Pen competere sul suo stesso terreno, diminuendo così la sua dimensione di candidata “anti-sistema” che avrebbe potuto maggiormente attrare i voti della sinistra radicale. E’ curioso notare che dopo il dibattito la Le Pen sembrava piuttosto soddisfatta pur essendo stata amabilmente manipolata e gestita da Macron il quale l’ha rimessa nella confortevole posizione di challenger, un’eterna sfidante che in modo inconscio non sembra voler davvero accollarsi il fardello del potere supremo.

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E’ ovvio che le lacerazioni sociali che sono apparse durante la campagna elettorale costituiscono un terreno delicato sul quale il neo presidente si dovrà muovere con grande cautela per evitare di risvegliare il sempre collerico popolo francese. Ma bisogna anche sottolineare la portata storica di questa vittoria, tra l’altro molto meno risicata di quanto alcuni temevano. Macron riesce dove Sarkozy aveva fallito. Per non parlare di Hollande, che fu talmente screditato alla fine del suo mandato da rinunciare a presentarsi.

 

Macron ora può iniziare un secondo mandato che gli permetterà di completare un ciclo di dieci anni al potere. Visto il veto posto dalla Costituzione a un terzo mandato, avrà anche il vantaggio di un relativo distacco dalle ansie del calendario elettorale, una situazione favorevole al proseguimento dell’agenda riformista.

 

Ma quest’elezione apre anche un nuovo ciclo politico in Francia. Sono già previste le dimissioni del governo Castex, che potrebbe essere velocemente rimpiazzato da un esecutivo pensato per dare un segnale politico forte in vista delle elezioni legislative del prossimo giugno. Ci sarà probabilmente un effetto positivo della vittoria di Macron sul suo partito, la République en marche, ma restano molti dubbi sulla capacità di questa formazione di conquistare la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale come nel 2017.

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Si aprono quindi scenari di ricomposizione politica con una potenziale maggioranza allargata a formazioni come Les Républicains o il partito socialista. Sono partiti usciti malconci dalle presidenziali ma con un radicamento territoriale importante in alcune circoscrizioni che assicurano la loro sopravvivenza in Parlamento. E’ quindi possibile uno scenario di vittoria con una gestione politica difficile per Macron? Forse, anche se una forma di coalizione potrebbe essere funzionale al disegno riformista creando quella sponda parlamentare che il partito macronista non è mai riuscito a sviluppare durante il primo mandato. Tutto questo si vedrà entro poche settimane, intanto la rielezione rafforza Macron, anche dal punto di vista del profilo internazionale e illustra il paradigma non soltanto della bravura ma anche della fortuna di questo leader politico che è stato in grado in pochi anni di prendere il controllo del gioco politico francese. La sua rielezione lo inserisce nella prima categoria dei presidenti della Quinta Repubblica, quella dei De Gaulle, Mitterrand, Chirac che sono riusciti a conquistare due volte il mandato supremo, con il particolare che Emmanuel Macron compirà 50 anni nel 2027, alla fine del secondo mandato, un’età in cui molti iniziano la carriera politica.

 

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