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Viaggio sul confine della Nato. Nella base in Romania dove i piloti italiani tengono lontani i Mig russi

Deterrenza e non solo. “Noi siamo 30, Putin è da solo”, dice il ministro inglese Wallace

Giulia Pompili

La base alleata di prima linea sul Mar Nero, a poco più di un centinaio di chilometri dai confini dello spazio aereo rumeno, davanti a Sebastopoli. L'Italia ha appena lasciato il comando al Regno Unito, ma ha gestito i quattro mesi più significativi della storia recente europea

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Costanza, dalla nostra inviata – I jet americani, inglesi, italiani e romeni compaiono all’improvviso, in formazione a diamante, sulle teste delle  delegazioni. E’ una dimostrazione di forza e di unità, dice il cerimoniere. La base di prima linea della Nato sul Mar Nero, a poco più di un centinaio di chilometri dai confini dello spazio aereo della Romania,  davanti a Sebastopoli, è dedicata a un ex primo ministro romeno, il liberale Mihail Kogălniceanu. E’  il posto da cui partono gli aerei da guerra che controllano i confini dell’alleanza. Ieri il comando di questa missione Nato è passato dall’Italia al Regno Unito con una breve e operativa cerimonia sulla linea di volo, ma gli italiani non se ne vanno. Dopo aver guidato la missione durante gli ultimi quattro mesi – quelli che hanno sconvolto l’Europa – la task force dell'Aeronautica militare italiana “Black Storm”, composta da circa duecento persone, resta a fare “vigilanza attiva per garantire la sicurezza dello spazio aereo e proteggere i nostri confini”, dice il capo di stato maggiore dell’Aeronautica Luca Goretti. “La macchina da guerra di Putin è un pericolo per la nostra libertà”, ha detto il ministro della Difesa inglese, Ben Wallace, durante la cerimonia, “ma noi abbiamo qualcosa che Putin non ha. Abbiamo amici e alleati. Noi siamo trenta, Putin è da solo. Sono i nostri valori a farci essere meglio di lui”. La politica, a Bruxelles, a breve deciderà se questa sarà anche la sede di uno dei quattro nuovi battlegroup che la Nato ha deciso di posizionare sul “fianco orientale” dell’alleanza.

 

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Prima ancora dell’ufficialità, i movimenti di rafforzamento della Difesa sono già evidenti. 

 
Da un lato della strada s’intravede un cimitero di Mig. E’ un’eredità del patto di Varsavia: alla fine degli anni Ottanta la Russia vende una ventina di Mig-29 “Fulcrum” alla Romania, senza però fornire assistenza e pezzi di ricambio: volano poco, e nel giro di un decennio vengono abbandonati. Sono il simbolo di un rapporto andato a finire malissimo, un vecchio arnese che non vola più. Dall’altra parte della strada il contingente italiano finisce di montare le ultime tende della sua nuova base, inaugurata dal sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, che permetterà di prolungare il contributo italiano alla Nato. Anche se la Romania ha tecnicamente la capacità di difendere il proprio spazio aereo (a differenza dei paesi Baltici, che hanno bisogno di supporto), gli alleati della Nato si sono sempre avvicendati, qui all’aeroporto Kogălniceanu, soprattutto per deterrenza e addestramento. Ma da più di un mese in questa base è cambiato tutto. Siamo a una dozzina di chilometri dalla città di Costanza, di fronte alla Crimea, un posto che fino a tre anni fa, d’estate, si riempiva di russi in vacanza e in cerca di divertimento. Ora si sta trasformando in uno dei luoghi più strategici della Difesa Nato, e lo dimostra il riposizionamento di numerose Forze armate. Di recente sono arrivati i francesi, gli olandesi, i belgi, non solo armati per la difesa aerea, ma anche con mezzi di terra.  Per i soldati è un cambio di passo importante, non è più una missione di routine. 

 

  

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In una base di controllo dei cieli come questa, l’attività più importante è quella che nel gergo tecnico si chiama scramble: un aereo non autorizzato si avvicina troppo alla linea dello spazio aereo Nato, e in meno di dieci minuti dal decollo un Eurofighter è capace di arrivare sulla linea di confine. Avvicina l’aereo che ha fatto scattare l’allarme e cerca di capire la situazione – potrebbe essere un aereo ostile, oppure semplicemente in avaria, potrebbe perfino essersi perso: è successo. Poi a gesti, da cabina a cabina, secondo un linguaggio di segni internazionali, comunica con l’altro pilota. In questi giorni, sul confine dello spazio aereo Nato, non c’è nemmeno bisogno di comunicare: gli aerei russi si avvicinano quanto più possibile e poi se ne vanno non appena arrivano i jet della Nato. E’ una specie di danza provocatoria. Dall’inizio del comando italiano, il 1° dicembre dello scorso anno, i piloti hanno fatto 27 scramble veri, non d’addestramento.

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Da quando è iniziata la guerra, la frequenza delle volte in cui i poliziotti del cielo devono andare a ricordare quali sono esattamente i confini della Nato è cambiata, “abbiamo più aerei russi in giro, ma la reazione della Nato è rimasta la stessa”, dice al Foglio il generale Fernando de la Cruz, comandante del Caoc, il comando Nato delle operazioni aeree combinate. “Magari quando si alzano dalla Crimea e proteggono le loro navi passano vicino ai confini”, dice il comandante Goretti, “e noi siamo lì a mostrargli che no, non possono andare dove vogliono”. Il confine dello spazio aereo è anche quello che può determinare o no l’entrata in guerra dell’alleanza Nato. Basta una reazione a un atteggiamento provocatorio, un incidente. Ci si addestra di continuo anche per mantenere un protocollo rigidissimo che eviti gli incidenti. E non è poi così difficile gestire trenta Forze armate diverse, “lo facciamo da sessant’anni”, dice lo spagnolo De la Cruz. La forza della condivisione. 

  
L’unico strapotere degli americani, dentro questa base, resta la pizza ai pepperoni (il salame piccante, ma niente hot dog) al chioschetto, dove si paga solo in moneta locale (il lei) e dollaro. L’integrazione difensiva è arrivata prima di quella monetaria e culinaria.  

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