Pazienza strategica

Perché diciamo di no a Zelensky che dice: chiudete il cielo d'Ucraina. Intervista a Tom Nichols

Paola Peduzzi

L’unico modo che ha Putin per salvarsi è spingere l’occidente in guerra: proprio per questo la no fly zone è un intervento militare che la Nato esclude, ci dice il saggista americano esperto di sicurezza, di armi nucleari, di Russia e di democrazia

Chiudete il cielo, ci dice Volodymyr Zelensky, chiudete il cielo d’Ucraina o diventeremo tutti schiavi, ripete il presidente ucraino, implorando i paesi occidentali di fare la guerra contro la Russia assieme a lui. Non soltanto fornendo armi e sostegno militare, non soltanto sanzionando il regime di Vladimir Putin, non soltanto prendendo in considerazione di mettere il timbro europeo sull’Ucraina: combattendo. La no fly zone è questo: un intervento militare diretto che la Nato esclude perché, dice, sarebbe una dichiarazione di guerra. Ma non l’ha già fatta Putin, la dichiarazione di guerra e la guerra? Davvero possiamo stare a guardare il presidente di uno stato (che ci siamo ostinati a non definire un dittatore) che ridisegna con le bombe i confini di un altro stato, creando una crisi umanitaria che, in Europa, non si vedeva dalla metà del Novecento? La risposta per ora è sì.

 

Tom Nichols, saggista americano esperto di sicurezza, di armi nucleari, di Russia e di democrazia (divenne famoso anche qui con il suo libro sulla fine degli esperti), dice al Foglio: “Il mondo occidentale, un mondo che Putin rifiuta e che vuole distruggere, deve sopportare l’orrore della guerra in Ucraina rimanendo abbastanza paziente da realizzare che il presidente russo e il suo regime hanno fatto un errore terribile. La Russia non sarà mai più potente quanto lo era il giorno che ha invaso l’Ucraina, e ora è incastrata in una guerra che non può vincere. Ci saranno moltissime perdite prima che tutto questo sia finito, ma il risultato finale è che il regime russo come lo abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni, è ora spacciato, almeno fino a che non ci facciamo tentare da una guerra più ampia con la Russia”.

 

Il senso di Nichols e di chi dice di non intervenire militarmente a sostegno di Kyiv è: Putin questo vuole, un nostro coinvolgimento, un altro pretesto, non diamoglielo. Questa rincorsa di pretesti per ora non è andata bene, Putin ha iniziato una guerra unprovoked, come la definiscono gli americani: immotivata. E noi dobbiamo invece trovare tutti i motivi per contenerci? Nichols dice sicuro di sì, “le emozioni non devono dettare la nostra strategia”, e no, non è una cosa cinico-realista, questa: “L’unico modo che ha Putin per salvarsi dal suo stesso errore è  spingere l’occidente ad attaccarlo. Nulla può aiutarlo di più, a casa e con i suoi alleati che ancora ci sono, che le ostilità dirette con gli Stati Uniti o la Nato. Lui diventerebbe un eroe, e l’Ucraina invece verrebbe dimenticata”. 

 

Bisogna insistere con la strategia attuale, insomma. Il New York Times ha pubblicato un lungo e informato articolo che spiega come funziona il sostegno esterno all’Ucraina: lo paragona al ponte aereo su Berlino del 1948-49, “ma molto più complesso”. In meno di una settimana, Stati Uniti e Nato hanno mandato più di 17 mila armi anticarro (compresi i Javelin) attraverso i confini di Polonia e Romania;  il 70 per cento dei 350 milioni di dollari di aiuti militari stanziati la settimana scorsa è arrivato in cinque giorni; ci sono circa 100 mila soldati americani in Europa; Zelensky si muove con un equipaggiamento per le comunicazioni crittografate fornito dagli americani); un team di “cybermission” che dipende dal comando Cyber americano è operativo in modo capillare per interferire nelle comunicazioni e negli attacchi digitali dei russi.

 

Gli esperti dicono che questo potrebbe non bastare, e che potremmo scivolare dentro questa guerra solo con un po’ di ritardo. Zelensky pensa che andrà così, dice chiudete il cielo, i politici occidentali al contrario si chiedono come evitare uno scontro tra superpotenze, Nichols ci lascia così: “Le sanzioni colpiscono i cittadini russi, sì, ma riducono la capacità di Putin di fare una guerra ancora più ampia”. La chiamano pazienza strategica, e costa moltissimo.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi