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Dopo Kharkiv, i russi stanno radendo al suolo Chernihiv per far vedere di cosa sono capaci

Cecilia Sala

A cento chilometri a nord di Kyiv, le bombe sono un avvertimento: nessun tentativo di evitare gli obiettivi civili, i proiettili cadono sulle case e sulla scuola del centro, radono al suolo le fabbriche e distruggono i ponti

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Chmel’nyc’kyj. Cinque giorni fa a Chernihiv – cento chilometri a nord di Kyiv – c’erano i civili ucraini disarmati che, muovendosi a piedi dai confini della città verso la campagna, andavano incontro ai carri armati del nemico. I russi hanno indietreggiato. I soldati non se la sono sentita di sparare, i comandanti di dare l’ordine, e dai veicoli corazzati – guardando verso i civili in marcia – si vedeva un muro di smartphone con gli obiettivi puntati. E’ una guerra in stile novecentesco dove tutti hanno in tasca la tecnologia del 2022, se avessero reagito almeno uno di quei video sarebbe finito online e in questo momento gli strumenti della deterrenza contro i russi passano anche per le dirette su Instagram. Episodi come questo sono avvenuti in molte altre città e villaggi del paese da quando è cominciata l’invasione, ma a Chernihiv i russi non hanno rinunciato. 

 

Tre giorni dopo hanno deciso che, per uccidere i civili, era meglio usare gli aerei e  le bombe dall’alto. Nei video che poi finiscono sui social il carnefice è invisibile, si scorgono solo in lontananza i proiettili nel cielo e poi c’è un grande botto, il fuoco e il fumo. Chernihiv è stata bombardata così: nessun tentativo di evitare gli obiettivi civili, i proiettili cadono sulle case e sulla scuola del centro, radono al suolo le fabbriche e distruggono i ponti. Kostantin, da Chernihiv, manda al Foglio il filmato girato con l’iPhone mentre scavalca i cadaveri e i corpi dei feriti mutilati camminando tra le macerie nel corso principale, si sentono le urla che provengono da tutte le case.

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Ieri l’autorità locale ha scritto in su Facebook che ci sono almeno quarantanove vittime che non avevano fatto in tempo a raggiungere i bunker, ma il conteggio è ancora incompleto perché le operazioni di ricerca e soccorso si erano dovute interrompere per difendersi da un nuovo bombardamento. Kostantin fa parte della Teritorialnoy Oborony, la milizia dei civili di Chernihiv. I russi non hanno ancora cominciato l’assalto di terra alla città, colpiscono solo dal cielo, ma “la quarantunesima armata e la novantesima divisione di carri ci stanno accerchiando da ovest e da est”. Ammette che la situazione è disperata: “Non abbiamo dove ritirarci, le cose si mettono male per noi ma continuiamo a combattere”. Lui è russofono e sua moglie è nata nel sud della Russia: nessuno dei due odiava Putin fino al 2014, entrambi oggi lo vorrebbero morto. 

 

Nella brigata di Kostantin ci sono molti ragazzi nati nel ’98 e ’99, il loro compito è spingersi ai confini della città per sabotare il maggior numero di veicoli e uccidere il maggior numero di soldati possibile, indebolire il nemico per quel che si può e in vista del prossimo fronte in cui verrà schierato, senza farsi troppe illusioni rispetto al proprio. Dopo Kharkiv, adesso Chernihiv è una piccola Aleppo ucraina. Per dimensione e numero abitanti, in rapporto alla distruzione e al numero dei morti, è la città martire di questi primi otto giorni di guerra. Chernihiv è strategica perché si trova sull’autostrada che viene da nord, a metà strada tra il confine con la Bielorussia e la capitale, sulla direttrice da dove i russi hanno più chance di avanzare. La strage di Chernihiv è, anche, un avvertimento per Kyiv.

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