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Anche sul fronte libico tira un vento pericoloso che soffia da Mosca

Luca Gambardella

Per ora Bashagha dice di volersi prendere Tripoli pacificamente, ma non c'è da fidarsi. Due suoi ministri sono stati rapiti da milizie fedeli a Dabaiba e i terminal petroliferi sono stati misteriosamente chiusi. Si teme un nuovo blocco delle esportazioni di greggio

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Da oggi Tripoli è in stato di massima allerta e si teme che i due governi che si contendono il potere possano arrivare allo scontro aperto, trascinando con sé il capitolo più delicato di tutto il dossier libico, quello dell’approvvigionamento energetico per l’Europa. Giovedì mattina, il convoglio che portava alcuni ministri del nuovo governo parallelo presieduto da Fathi Bashagha da Misurata a Sirte è stato assalito da una milizia fedele ad  Abdulhamid Dabaiba, il premier sostenuto dalla comunità internazionale e che non riconosce l’insediamento di Bashagha. Due dei ministri  che avrebbero dovuto giurare oggi a Sirte sono stati rapiti. Si tratta di Hafed Gaddour, ex ambasciatore libico in Italia e neo ministro degli Esteri, e di Salha al Drouqi, ministro della Cultura. Il nuovo gabinetto, che martedì scorso ha ottenuto la fiducia del Parlamento di Tobruk, ha accusato subito il governo di Tripoli di avere pianificato l’agguato e di avere chiuso lo spazio aereo del paese per impedire ai ministri  di andare a Sirte a prestare giuramento. Un affronto “punibile con la pena di morte”, ha detto Bashagha. L’agguato non ha fermato il nuovo primo ministro e la cerimonia d’insediamento del suo governo si è tenuta regolarmente. Il tutto è avvenuto in diretta televisiva, alla presenza dei 92 parlamentari che martedì avevano dato la fiducia al nuovo governo. In questo modo  Bashagha ha voluto dimostrare alla comunità internazionale che tutto sta avvenendo nel rispetto delle procedure.

 

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Da parte sua, l’Onu aveva invece avanzato diversi dubbi sulla trasparenza del processo di insediamento e aveva parlato di intimidazioni che avrebbero influenzato il voto di fiducia. Il riferimento dell’Onu è al ruolo di Haftar. Martedì, fuori dal Parlamento di Tobruk, c’erano i suoi figli, Saddam e Belqacem, che attendevano l’esito del voto. Il leader della Cirenaica è riuscito a infilare alcuni suoi fedelissimi nel governo di Bashagha ed è considerato il vero vincitore. Mentre nell’ultimo anno tutti hanno scommesso sul fatto che i russi lo avrebbero scaricato, ora è lì a scegliere i ministri di un governo antagonista con il placet di Mosca, che è stata la prima a complimentarsi con il nuovo governo, definito “un passo in avanti per superare la prolungata crisi libica”. Bashagha ha tentato di tranquillizzare l’Onu assicurando che – per ora – non intende aprire un altro fronte di guerra sulla sponda sud d’Europa per  cacciare Dabaiba da Tripoli. “Non sarà versata nemmeno una goccia di sangue e useremo solamente la forza della legge”, ha detto. E’ difficile però credere che sia nella posizione di promettere qualcosa. Tutto dipenderà da quello che decideranno di fare le milizie sul terreno, e lo stesso vale anche per il fronte  di Tripoli.             

 

In questa disputa caotica la comunità internazionale sembra essere in attesa di capire il passo successivo. Sono due i fattori che  preoccupano le cancellerie occidentali: il primo è l’influenza russa, che sembra avere ritrovato nuovo slancio. Gli uomini della compagnia di contractor della Wagner sono operativi da anni al fianco di Haftar e, visto il contesto internazionale, gli scenari potrebbero diventare ancora più foschi. L’altro fattore di preoccupazione è legato alle fonti energetiche, trascinate come di consueto nella diatriba fra est e ovest.  Con il  petrolio che per la prima volta dal 2014 ha raggiunto quota 120 dollari al barile, giovedì la National Oil Corporation libica (Noc) ha annunciato di avere bloccato le esportazioni da tutti i porti del paese –  tranne, guarda caso, quello di Tobruk. Ufficialmente, la colpa sarebbe del maltempo, ma il ministro dell’Energia, che non è in buoni rapporti con la Noc, ha detto che un po’ di vento non può giustificare un blocco dei terminal, soprattutto in un momento così delicato – riferendosi ai prezzi del greggio a livello mondiale per la guerra in Ucraina. Oltre alla chiusura dei terminal, giovedì sarebbe stato chiuso anche il pozzo estrattivo di el Sharara, il più grande del paese, che produce quasi 300 mila barili al giorno nel deserto del Fezzan. Secondo fonti locali, in questo caso il motivo sarebbe la chiusura di una valvola più a nord, a Hamada, per mano di “sconosciuti”. Non è la prima volta che questi “sconosciuti” entrano in azione mettendo in pericolo la produzione del greggio in Libia. Di solito si tratta di milizie insoddisfatte dalla ridistribuzione dei ricavi ottenuti da gas e petrolio. Ma stavolta si teme che si tratti di messaggi non troppo velati che preludono a un possibile nuovo blocco petrolifero, come quello imposto da Haftar due anni fa come ritorsione contro il governo di Tripoli. Nelle prossime ore si capirà se la causa del blocco delle esportazioni è stata davvero il vento di maestrale oppure i venti di guerra che arrivano dalla Cirenaica, alimentati da Mosca.

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