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Task Force Takuba

Italia sola nel Sahel?

Daniele Ranieri

I soldati europei se ne vanno dal Mali, la missione italiana era appena diventata operativa  

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L’Italia fa parte di un dispositivo di sicurezza internazionale chiamato Task Force Takuba, vale a dire una missione militare con la partecipazione di altri tredici eserciti europei nella regione africana del Sahel e soprattutto in Mali. Ma quella missione sta fallendo e gli altri paesi si stanno sfilando dall’impegno – per colpa di contrasti con il governo golpista del Mali. E questo porta dritti alla domanda: che cosa farà l’Italia? Andiamo con ordine. L’obiettivo della missione Takuba (il nome indica una sciabola locale) è contrastare il traffico di persone e i gruppi di estremisti che infestano la regione, inclusi lo Stato islamico e al Qaida. L’idea europea è: al posto dell’impegno militare in Afghanistan, occupiamoci di quello che succede nel Sahel e che ci riguarda da vicino perché poi attraverso il corridoio africano i rischi di quella regione si spostano verso di noi.  Il governo Draghi nel 2021 ha mandato militari specializzati e sei elicotteri che hanno il compito di eseguire le missioni Medevac: se qualcuno degli altri soldati della missione internazionale viene ferito, gli italiani lo vanno a prendere in elicottero ed è un compito delicato perché presuppone interventi in situazioni di rischio (tre elicotteri per le evacuazioni, tre di appoggio).

 

Il 14 gennaio gli italiani hanno raggiunto la piena operatività e hanno celebrato con un volo sopra la base in Mali e la bandiera nazionale esposta dagli elicotteri. Ma nel frattempo gli altri contingenti hanno cominciato a lasciare la regione per colpa di contrasti con la giunta golpista, che ora sostiene che i soldati internazionali non sono stati invitati, esige regole più strette per la missione – per esempio i voli devono essere comunicati con trentasei ore di anticipo e non è possibile gestire una missione militare come se fosse un aeroporto civile – e intanto spalanca le porte a quattrocento mercenari russi della compagnia privata Wagner, che si muovono per ordine del Cremlino. Il 14 gennaio la Svezia ha annunciato che avrebbe ritirato i centocinquanta soldati della missione Takuba e i duecentocinquanta della missione Minusma delle Nazioni Unite. Giovedì scorso la Danimarca ha detto che ritira i suoi cento uomini – erano arrivati soltanto due settimane fa – perché sono considerati “non invitati” dalla giunta militare (l’invito ufficiale c’era stato, ora viene negato).

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Due giorni fa l’ambasciatore francese è stato espulso perché ha protestato contro il trattamento riservato ai soldati danesi. Martedì la Norvegia ha annunciato di avere annullato l’invio di soldati in Mali, vista la situazione. “Non è possibile partecipare alla missione Takuba”, ha detto il ministro della Difesa norvegese Odd Roger Enoksen. E’ un effetto domino. Ieri la ministra tedesca degli Esteri, Annalena Baerbock, ha detto che sta pensando di ritirare i soldati tedeschi dal Mali (impegnati in due missioni di sicurezza che non sono la Takuba, ma il problema è sempre lo stesso). Sei mesi dopo il ritiro dall’Afghanistan (dove nel frattempo le cose stanno andando male) anche la missione di sicurezza nel Sahel è in crisi.

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