(foto EPA)

dopo il caso aukus

Di cosa parliamo quando parliamo di autonomia strategica europea

David Carretta

A Bruxelles viene presentata come una necessità per “difendere i nostri interessi”. Ma i 27 non sono ancora riusciti a definire con chiarezza quali sono gli interessi dell’Ue

Bruxelles. Il governo di Angela Merkel ieri ha voluto esprimere solidarietà alla Francia nello scontro con Stati Uniti e Australia sulla partnership Aukus nell’Indo-Pacifico. “Posso capire la collera dei nostri amici francesi”, ha detto il ministro degli Esteri, Heiko Maas, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu: “Ciò che è stato deciso, e il modo in cui è stato deciso, è irritante e deludente”. A Bruxelles, il ministro per gli Affari europei, Michael Roth, ha parlato di “fiducia persa” con gli Stati Uniti e “sveglia per tutti noi nell’Ue”. Su richiesta della Francia la Commissione europea sta pensando di cancellare il prossimo round di negoziati con l’Australia su un accordo di libero scambio. L’inaugurazione del Consiglio per il commercio e la tecnologia tra Unione europea e Stati Uniti, prevista il 29 settembre, dovrebbe essere rinviata a ottobre. La dimostrazione pubblica di solidarietà è un tentativo di far scendere la tensione ed evitare che un problema francese (la cancellazione dell'Australia di un contratto di fornitura di sottomarini) diventi un problema europeo. Molti a Bruxelles ritengono la conflittualità della Francia controproducente. “Danneggiare se stessi pur di far male a un altro, rinviando il Consiglio per il commercio e la tecnologia e mettendo a repentaglio i progressi più ampi nelle relazioni tra Ue e Usa non è la via da seguire”, ha detto l’eurodeputato olandese del Ppe, Christophe Hansen: “Chi guadagnerebbe da una frattura più profonda tra alleati democratici?”. La risposta è: la Cina. Cioè il grande assente nel dibattito che si è aperto nell’Ue sull’Aukus e l’autonomia strategica. 

La discussione in Europa attorno all’Aukus e all’autonomia strategica per molti aspetti è surreale. L’Alto rappresentante, Josep Borrell, ripete spesso che l’Ue non è un attore militare. L’ambizione in termini di difesa europea e autonomia strategica si è ridotta al minimo: da un esercito di 60 mila uomini nel 1999 si è passati a una forza di ingresso di 5 mila soldati. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha proposto un Centro comune di consapevolezza situazionale, che si limiterebbe a raccogliere e condividere informazioni già pubbliche. La Francia è l’unico stato membro che ha una presenza militare significativa nell’Indo-Pacifico (la Germania ha appena inviato la sua prima fregata). Ma è infinitamente inferiore a quella degli Stati Uniti, e non sufficiente per mantenere aperto il Mar  cinese meridionale se Pechino decidesse di confiscarlo. Se l’Australia ha scelto i sottomarini americani non è per la propulsione nucleare, ma per la protezione dell’America che l’Europa e la Francia non possono e probabilmente non vogliono garantire.

A Bruxelles l’autonomia strategica viene presentata come una necessità per “difendere i nostri interessi”. Ma i 27 non sono ancora riusciti a definire con chiarezza quali sono gli interessi dell’Ue. La Cina ne è la dimostrazione più palese. Dopo che Joe Biden ha offerto all’Ue di cooperare per contenere Pechino, la discussione tra i capi di stato e di governo al Consiglio europeo è stata rinviata più volte. Ora è fissata a una cena informale il 5 ottobre, ma la Germania ha chiesto di farla slittare, dato che non ci sarà ancora il nuovo governo. Angela Merkel ha una visione mercantilista dell’autonomia strategica dell’Ue: continuare a esportare in Cina è la priorità. L’Aukus ha risvegliato la concezione gollista dell’autonomia strategica di Emmanuel Macron: l’interesse europeo definito in contrapposizione a quello americano. Gran parte dei partner europei della Francia non vuole rompere con gli Stati Uniti, ma continuare a beneficiare della loro protezione. Un’Ue  indecisa fatica a essere credibile quando si lamenta di non essere presa sul serio. 

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