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L’Italia non va a Durban. No alla festa dell’antisemitismo 

Giulio Meotti

Dopo la rinuncia di Stati Uniti, Canada, Australia e Regno Unito, arriva anche quella del nostro paese. Durante la prima conferenza mondiale contro il razzismo, tenutasi nel 2001, erano stati espressi pesanti giudizi contro lo stato d'Israele

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L’Italia, in linea con altri paesi occidentali, non parteciperà alla prossima Conferenza mondiale contro il razzismo di Durban, che si svolgerà a settembre a New York. Nella Conferenza svoltasi nel 2001 in Sudafrica Israele venne definito uno “stato razzista e di apartheid”. Dopo Stati Uniti, Canada e Australia, anche il Regno Unito a luglio aveva deciso di boicottare l’evento dell’Onu che si trasformò in una kermesse di pregiudizi anti-israeliani e antisemiti. Gli Stati Uniti hanno annunciato il mese scorso il loro boicottaggio dell’evento, fissato per il 22 settembre, a causa del “sentimento anti-israeliano del processo di Durban, utilizzato come forum di antisemitismo” e per “prendere di mira” Israele in modo unico e pregiudiziale. Poco dopo si sono aggiunti Canada e Australia, con motivazioni analoghe.

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L’Italia, in linea con altri paesi occidentali, non parteciperà alla prossima Conferenza mondiale contro il razzismo di Durban, che si svolgerà a settembre a New York. Nella Conferenza svoltasi nel 2001 in Sudafrica Israele venne definito uno “stato razzista e di apartheid”. Dopo Stati Uniti, Canada e Australia, anche il Regno Unito a luglio aveva deciso di boicottare l’evento dell’Onu che si trasformò in una kermesse di pregiudizi anti-israeliani e antisemiti. Gli Stati Uniti hanno annunciato il mese scorso il loro boicottaggio dell’evento, fissato per il 22 settembre, a causa del “sentimento anti-israeliano del processo di Durban, utilizzato come forum di antisemitismo” e per “prendere di mira” Israele in modo unico e pregiudiziale. Poco dopo si sono aggiunti Canada e Australia, con motivazioni analoghe.

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Nella bozza finale della Conferenza mondiale contro il razzismo del 2001, nota come “Durban I” dal nome della città sudafricana dove si svolse, il caso palestinese era l’unico al mondo espressamente citato nella sezione “vittime di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza”. A Durban, il Forum delle ong approvò una risoluzione che definiva Israele uno “stato di apartheid razzista” accusandolo di genocidio. Durante l’evento vennero distribuiti materiali dichiaratamente antisemiti, come i “Protocolli dei Savi di Sion”. 

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La “strategia di Durban”, che gioca sull’impalpabile confine fra critica e istigazione all’odio scavalcato dalle menzogne, si va diffondendo da più di un decennio in occidente in generale e in Europa in particolare. Ci sono i missili di Hamas e Hezbollah sotto l’ombrello pre-nucleare dell’Iran (ieri è evaso da Israele il leader delle Brigate dei martiri di al Aqsa). Poi c’è il campo di battaglia, non meno importante, delle idee, delle università, dei media. E qui è in corso qualcosa di agghiacciante, la facilità seduttiva con cui si dà credito a ogni accusa contro lo stato ebraico nell’insostenibile leggerezza con cui si trasforma l’unica democrazia del medio oriente in un mostro.

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