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Come è andata a finire. Vista dalla parte dei talebani

Giuliano Ferrara

Erano i nostri figli di puttana, ora siamo costretti ad ammirarli. Strano capolavoro della storia

Vederla dalla parte dei talebani è praticamente impossibile. Noi disprezziamo illuministicamente la loro signoria sulle donne, il loro odio per l’istruzione femminile e in genere per l’educazione laica, il rifiuto radicale di musica e cultura, consideriamo fosco come un incubo il loro totalitarismo teocratico, il modo di concepire e organizzare il potere, l’avversione per l’indipendenza della persona e della sua coscienza, l’autonomia individuale, consideriamo patologiche e fobiche le loro usanze, i loro costumi civili. L’occidente li ha aizzati, sostenuti, finanziati, armati quando con i binladenisti e altri gruppi combattevano contro l’invasore sovietico, nella lunga coda della Guerra fredda: erano i nostri figli di puttana, e la politica realista non ammette errori, impone di aiutare chi è nemico del tuo nemico senza tante sottigliezze.

 

Quando vinsero contro l’Armata rossa e si configurarono come un nuovo potere jihadista e islamista, nuova incarnazione insieme nazionale e tribale del paese dominato dall’etnia Pashtun, perfettamente inseriti con i loro ospiti di al Qaida nel circuito dei ferrigni nemici del satanico occidente, sulla scia della rivoluzione khomeinista sciita, loro sunniti ma banditori come i mullah della sharia o legge coranica, facemmo buon viso a cattivo gioco. Quando il gioco divenne troppo cattivo, e dalle strutture terroristiche infiltrate a rete in tutto l’islam politico ma principalmente basate in Afghanistan partì un attacco inaudito a New York e Washington, il più mortale attentato nella storia dell’umanità, l’America decise di rispondere e riuscì a costruire perfino una coalizione Nato, malgrado l’abietto astensionismo dell’Onu, per svellere il potere dei talebani, distruggere al Qaida, tenere botta per anni e ricostruire un simulacro di decenza politica nel paese carovaniero e montanaro posto sulla Via della seta. Al timone degli Stati Uniti c’erano George W. Bush, Cheney e Rumsfeld, tre adulti capaci di errore ma non di cecità e viltà se paragonati ai narcisisti e ai rinunciatari che li seguirono alla Casa Bianca, uno dei quali è stato un molesto e delinquenziale capotribù che ha siglato l’accordo sulla base del quale oggi il decente ma fiacco Biden ha deciso di perdere la faccia e la guerra e la pace e la coerenza geopolitica a fronte di amici e nemici nel vecchio scacchiere del Grande gioco.

Nel frattempo, e si tratta di due decenni tondi tondi, nonostante costi umani, economici e politici immensi, gli americani hanno fatto il contrario di quanto avvenuto in Corea o in Europa, se è per questo, dopo la bunkerizzazione e la sconfitta di Hitler, di Mussolini e del Mikado: sono restati più o meno sul piede di partenza, sempre tentati dalla ritirata, sempre ricattati dall’opinione pubblica più insulsamente pacifista, apparentemente umanitaria, con varianti di piccolo isolazionismo, modello Monaco, incapace del tutto di valutare il significato di una riscossa talebana in Afghanistan. E’ mancato il dispaccio di Brennan, non hanno costituito un’alleanza stabile per il contenimento del dispotismo islamista e terrorista, si sono comportati come se Truman e Eisenhower avessero preso a vergognarsi e a piagnucolare sui risultati politici e militari della guerra mondiale. La tragedia finale è la trasformazione delle grandi agenzie imperiali di guerra e pace, il Pentagono, il dipartimento di Stato, l’intelligence, in soggetti inidonei a fare il loro mestiere perfino nei dettagli di una ritirata divenuta una fuga ingloriosa (calcolo dei tempi e delle forze in campo, scelta delle organizzazioni e dei poteri da impegnare in una resistenza alla prevedibile controffensiva di primavera a Kabul, uso sapiente e con capacità di deterrenza aerea della diplomazia con l’infido avversario). Non si poteva costruire una nazione, ma era possibile evitare una catastrofe come quella che abbiamo sotto gli occhi, nell’abbandono e nel tradimento della minoranza afghana che aveva disperatamente voluto credere in una svolta istituzionale e politica.

 

Vista dalla parte dei Talebani, con i loro occhi feroci e penetranti, con le loro barbe d’ordinanza, con quegli zoccoli terragni e quelle armi esibite perché pronte a sparare, con quel tremendo disprezzo della vita e della morte, anche la propria, tipico degli eserciti che si battono anche in nome della fede, anzi, di una legge divinamente ispirata, questa è un’epopea di sacrificio, di accanimento umano e politico che ha dell’incredibile, a partire dalla fedeltà mai rinnegata all’ospite qaidista, è una storia che ributta indietro integralmente il fronte, con i suoi segni ora in via di cancellazione, dei criteri di vita e di civiltà incarnati, finché lo sono stati, dagli occidentali imbelli e sconfitti. Li abbiamo aiutati a resistere, a perseverare, a combattere, a ingannarci subdolamente e magnificamente, dagli accordi di Mike Pompeo al blitz dei mesi e delle giornate trascorse, e ora siamo anche costretti, sperando che facciano politica e rinuncino alla logica del terrore, delle proscrizioni e dei guai inferti ai vinti, ad ammirarli. Un capolavoro per la storia.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.