schede vuote

La Russia si prepara al voto di settembre senza opposizione né simboli

Il rinnovo della Duma doveva essere una riscossa per gli attivisti anti Cremlino. Ma il presidente ha pensato in anticipo a come evitare lo scenario bielorusso

Micol Flammini

Tra gli oppositori c'è chi lascia il paese, chi è in prigione e chi si trascina tra un tribunale e l'altro. Tra i putiniani invece c'è la tendenza a nascondere il simbolo del partito del presidente, che si porta sempre meno

Sono scomparsi i candidati  e anche i simboli alle elezioni che si terranno in Russia il prossimo settembre per rinnovare la Duma di stato. Tra i candidati ormai si fatica a trovare quelli di opposizione. Il Cremlino si è preparato in anticipo, ha voluto evitare scenari bielorussi, manifestazioni, proteste e denunce di brogli e ha trovato il modo per mettere alla porta i suoi oppositori. A cominciare dal primo, Alexei Navalny, che è stato condannato a trascorrere più di due anni in una colonia penale, conosciuta per la durezza. Ma allontanare Navalny dalla scena politica non è bastato, e Vladimir Putin lo scorso fine settimana ha firmato una legge che impedisce a persone associate a organizzazioni estremiste di candidarsi alle elezioni. E’ importante,  perché è ancora in corso un processo per stabilire se le organizzazioni vicine all’attivista possono essere etichettate come estremiste, al pari dello Stato islamico, e se lo saranno, tutte le persone che hanno partecipato al suo movimento non soltanto saranno tenute sotto stretta sorveglianza, ma non potranno candidarsi. Navalny è il più conosciuto, il più provocatorio e anche il più istrionico degli oppositori del Cremlino, ma l’opposizione russa è fatta di tanti corpi, tante menti che da anni, con idee diverse, cercano di mostrarsi come un’alternativa a Vladimir Putin e al suo partito Russia unita. La repressione è aumentata anche contro di loro. La scorsa settimana due esponenti del movimento Russia aperta sono stati arrestati. Andrei Pivovarov non è mai stato rilasciato. Dmitri Gudkov invece sì, e ha deciso di andarsene in Ucraina. In un’intervista a un media online russo, la  moglie Valeria   racconta che suo marito ha ricevuto delle chiamate anonime che gli consigliavano di lasciare la Russia. Gudkov ormai non si potrà candidare, è un politico molto diverso da Navalny, sua moglie lo definisce un uomo dalle grandi capacità diplomatiche, ma adesso, nella politica russa, “non c’è modo di metterle in pratica”. Ad altri aspiranti candidati è stato consigliato di lasciare la nazione, a qualcuno che era all’estero è stato consigliato di non tornare. I sostenitori di Navalny invece continuano a girare tra un tribunale e l’altro, privati di ogni piattaforma e della possibilità di organizzare proteste. Ne avevano promesse molte con l’arrivo della primavera e dell’estate, ma adesso metterebbero soltanto in pericolo chi decide di partecipare: probabilmente tutti i manifestanti rischierebbero accuse di estremismo. Lo spazio dell’opposizione si è ristretto,  e tra i russi ormai nessuno più crede che le elezioni si svolgeranno in un clima di tensione e protesta. Sembra tutto già scritto.  

 

Il Cremlino  però ha anche un altro problema: Russia unita è un marchio che non attira, che infastidisce. Queste saranno elezioni che si voteranno a livello locale, ognuno voterà i propri rappresentanti per la Duma  e la pandemia ha avuto un effetto devastante sul consenso nei confronti del partito del presidente, che ha lasciato i governatori da soli a gestire i danni economici e sanitari dell’ultimo anno. La campagna elettorale non è ancora entrata nel vivo, ma già ci sono i primi cartelli pubblicitari e i putiniani, candidati regolarmente iscritti a Russia unita, si presentano senza simbolo, senza mostrare la loro appartenenza al partito. Anche Putin nelle ultime presidenziali aveva corso senza Russia unita, da solo, togliendo i legami formali con il  “partito dei ladri e dei cialtroni”, secondo la definizione di Navalny. Sembra che ormai i putiniani sappiamo bene che iniziano a essere percepiti così e allora si liberano del simbolo, del nome del partito e a Mosca l’ultima tendenza è quella di fare campagna elettorale come capi di grandi organizzazioni di beneficenza e volontariato. Un esercito di candidati indipendenti, tutti regolarmente iscritti al partito, ma che preferiscono non rivendicarne l’appartenenza: non conviene più. 

 

Ci sarà una percezione di vuoto a settembre. I nomi che si sperava di trovare nelle schede elettorali non ci saranno. Tutta l’opposizione si stava organizzando  per sfidare il Cremlino, per cambiare la Duma. Ognuno con le sue tattiche, Navalny lo scorso anno aveva proposto il voto intelligente – vota chiunque ma non Russia unita –  durante una tornata di voti locali che vedeva come banco di prova per le  elezioni di quest’anno, poi è stato avvelenato. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.