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Tra Roma e Parigi c'è un'intesa nuova, ecco i punti e le ambizioni

Jean-Pierre Darnis

I tempi di Di Maio dai gilet gialli sono lontani: Italia e Francia oggi corrono insieme per una visione comune sull'Europa. A partire dalla sovranità industriale in termini di vaccini

Con l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza del consiglio assistiamo a una crescita del ruolo dell’Italia sia nel contesto europeo sia transatlantico. Il rafforzarsi del profilo internazionale dell’Italia contribuisce anche a un ulteriore miglioramento dei rapporti con Parigi. La scorsa settimana i sottosegretari agli Affari europei Vincenzo Amendola e Clément Beaune hanno confermato la volontà di firmare un trattato bilaterale italo-francese entro la fine dell’anno. Già nel settembre 2017 Emmanuel Macron aveva evocato questo progetto inspirandosi al Trattato dell’Eliseo firmato da De Gaulle e Adenauer nel 1963. Si tratta di un precedente prestigioso, ma soprattutto di un modello che ha permesso di strutturare nel tempo le relazioni fra Francia e Germania, due paesi  diversi e che esprimono spesso leader poco convergenti. Il dispositivo di consultazione governativa e di scambi nella dirigenza della pubblica amministrazione fra Parigi e Berlino è un fattore positivo che contribuisce alla capacità di convergenza fra i due paesi, una volta nemici, nel contesto europeo. La volontà di applicare alle relazioni fra Italia e Francia un meccanismo di questo tipo corrisponde a due considerazioni. La prima, validissima nel periodo 2017-2019, riconosce che le relazioni sono problematiche e che richiedono un meccanismo specifico di mediazione. La seconda invece, intende creare un ancoraggio maggiore in seno a un’Europa resa più continentale dalla Brexit e che necessita di un rafforzamento delle convergenze fra i stati membri a beneficio dell’integrazione e dell’efficienza.

 

Dal 2017 si è sviluppata la consapevolezza che la relazione fra Roma e Parigi non è del tutto tranquilla. Parigi ha coltivato a lungo un’immagine buonista dell’Italia, senza soffermarsi sulle problematiche o le insofferenze. Dal fallimento della joint venture STX Fincantieri fino ai dissensi sulla Libia, passando per le questioni di accoglienza di migranti e il carattere invasivo degli investimenti francesi in Italia, abbiamo assistito a una lunga successione di battibecchi diplomatici fra il 2017 e il 2019. Con poi un episodio apicale quando l’allora vicepremier Luigi di Maio si recò in Francia per incontrare rappresentanti dei gilet gialli. Il secondo esecutivo di Conte aveva gettato acqua sul fuoco della diatriba fra Roma e Parigi con il vertice bilaterale tenuto a Napoli nel febbraio 2020 che aveva visto Emmanuel Macron e Giuseppe Conte condividere un babà da Scaturchio. La gestione della pandemia ha poi avvicinato i due esecutivi.

 

Emmanuel Macron, insieme ad Angela Merkel, ha poi giocato un ruolo decisivo nell’adozione del Recovery fund. Questo piano che illustra sia un’effettiva solidarietà europea che una specifica attenzione nei confronti dell’Italia, ha segnato in modo positivo la percezione italiana dell’azione politica francese. Il governo Draghi rappresenta un’ulteriore accelerazione in chiave europea. Inoltre, la Germania appare indebolita nella fase di transizione post Merkel, mentre la Francia sta già entrando nella campagna per le presidenziali e politiche del 2022. Esiste quindi un potenziale di crescita per l’Italia. Già Mario Draghi aveva indicato nel suo discorso programmatico al Senato la volontà di rinforzare i rapporti con Francia e Germania. Da parte parigina Macron vuole poter spingere per un’agenda riformista in Europa, anche colmando il vuoto di Berlino. Vi è un interesse congiunturale comune a intensificare la cooperazione. Tra l’altro Draghi si è subito posizionato a favore della sovranità industriale europea in termini di vaccini, un tema che intreccia la visione francese. Esistono quindi i termini di una visione comune in materia di sovranità industriale e tecnologica fra Parigi e Roma. Questa congiunzione favorevole spiega perché si programmi oggi la firma di un trattato, già battezzato “Trattato del Quirinale” che possa fornire ulteriori strumenti alle politiche bilaterali.

 

Dopo uno slancio iniziale andato a vuoto nel 2018, i lavori sono stati ripresi in mano dalle rispettive diplomazie per concordare un testo snello, un accordo quadro che permetta poi ulteriori declinazioni operative. L’essenziale è replicare il modello franco-tedesco di consultazioni governative automatiche, con ad esempio partecipazioni incrociate ai consigli dei ministri, e canali di comunicazione permanenti fra dirigenti della pubblica amministrazione. Nel secondo semestre del 2021 dove è già in calendario un incontro bilaterale in Francia, si dovrebbero anche aggiungere, pandemia permettendo, una visita di stato e la firma del trattato bilaterale: un vero momento di “intesa cordiale” fra Parigi e Roma.