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I cosmonauti di Putin

Le paure del presidente russo e dei suoi uomini che anche se perdono legittimità rimangono aggrappati al potere

Micol Flammini

La repressione violenta delle proteste in Russia e la brutalità del Cremlino che non si preoccupa più per la sua reputazione, teme solo che l'opposizione si rafforzi

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Le immagini che vengono da San Pietroburgo sono le più dure. Un corteo densissimo di manifestanti, la maggior parte giovani, tutti pacifici, sfila per le vie principali della città, quelle rimaste aperte. Domenica scorsa, in previsione delle proteste contro il Cremlino,  erano state chiuse alcune strade e alcune fermate della metro e  i manifestanti hanno zigzagato per i vicoli, le vie non sbarrate e  spesso sono rimasti intrappolati. San Pietroburgo è la città che ha sofferto di più: tantissimi arresti, in tutta la Russia sono stati più di cinquemila, tantissimo sangue. Sangue per le strade, sulla neve, nei furgoncini delle forze speciali.   I cosmonauti – così vengono chiamati gli uomini   schierati contro i manifestanti, la loro divisa con il casco enorme ricorda l’uniforme di chi parte per lo spazio – hanno reagito in modo molto violento contro delle proteste che di violento non avevano nulla. Sabato 23, il primo giorno di manifestazioni, alcuni filmati riportavano le immagini di manifestanti che lanciavano palle di neve contro la polizia. Domenica scorsa non si lanciavano neppure palle di neve, la repressione è stata durissima e a San Pietroburgo, la città del presidente russo  Vladimir Putin, un poliziotto  ha anche puntato la pistola contro i manifestanti che si facevano scudo l’un l’altro. I cosmonauti sono gli uomini mandati  a disperdere la piazza e per tutta la Russia c’erano anche cartelli rivolti a loro: “Cosmonauta, fa centro qui” e sotto disegnato un mirino con un cuore. “Guardia nazionale russa, siete davvero esseri umani?”. 

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Le immagini che vengono da San Pietroburgo sono le più dure. Un corteo densissimo di manifestanti, la maggior parte giovani, tutti pacifici, sfila per le vie principali della città, quelle rimaste aperte. Domenica scorsa, in previsione delle proteste contro il Cremlino,  erano state chiuse alcune strade e alcune fermate della metro e  i manifestanti hanno zigzagato per i vicoli, le vie non sbarrate e  spesso sono rimasti intrappolati. San Pietroburgo è la città che ha sofferto di più: tantissimi arresti, in tutta la Russia sono stati più di cinquemila, tantissimo sangue. Sangue per le strade, sulla neve, nei furgoncini delle forze speciali.   I cosmonauti – così vengono chiamati gli uomini   schierati contro i manifestanti, la loro divisa con il casco enorme ricorda l’uniforme di chi parte per lo spazio – hanno reagito in modo molto violento contro delle proteste che di violento non avevano nulla. Sabato 23, il primo giorno di manifestazioni, alcuni filmati riportavano le immagini di manifestanti che lanciavano palle di neve contro la polizia. Domenica scorsa non si lanciavano neppure palle di neve, la repressione è stata durissima e a San Pietroburgo, la città del presidente russo  Vladimir Putin, un poliziotto  ha anche puntato la pistola contro i manifestanti che si facevano scudo l’un l’altro. I cosmonauti sono gli uomini mandati  a disperdere la piazza e per tutta la Russia c’erano anche cartelli rivolti a loro: “Cosmonauta, fa centro qui” e sotto disegnato un mirino con un cuore. “Guardia nazionale russa, siete davvero esseri umani?”. 

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Per tanti, la violenza delle forze speciali è spesso la proiezione dell’ansia e dello smarrimento di Vladimir Putin – il cui consenso,  secondo uno degli ultimi sondaggi diffusi dalla Public opinion foundation è sceso al 55 per cento – che teme la piazza e soprattutto il seguito che Navalny è riuscito a creare. Rispondere con violenza a delle proteste pacifiche rischia di far arrabbiare ancora di più i russi: così andò in Ucraina nel 2014, all’inizio Euromaidan era un movimento giovanile, poi la polizia iniziò a picchiare e arrestare i ragazzi e scesero in piazza anche i genitori. Gleb Pavlovski, uno dei più famosi politologi russi, in una lunga intervista alla Novaya Gazeta dice che tutto questo si spiega con un concetto semplice: la stupidità. Il regime è nel panico, non sa più come fermare il malcontento e picchia. Putin, dice Pavlovski, era un calcolatore che sembra aver perso la sua freddezza e anche la sua abilità di capire i russi. Gli rimangono i cosmonauti e i suoi funzionari.

  

Oggi è attesa la sentenza contro Alexei Navalny che rischia di rimanere in carcere per tre anni e mezzo, per questo i suoi collaboratori hanno chiesto ai manifestanti di andare sotto il tribunale per chiedere la scarcerazione dell’oppositore, che finora è riuscito a ottenere risultati importanti:   ha movimentato e fatto crescere, dopo il suo arresto, i manifestanti, tanti dei quali, nelle violenze degli uomini mandati dal Cremlino per silenziare le proteste, hanno visto una lotta del presidente contro il proprio popolo. Qualcuno era in piazza perché ha sempre creduto in Navalny, qualcuno perché trova inaccettabile quel che gli è stato fatto, qualcuno perché invece non tollera più la corruzione, la crisi economica e un presidente sempre più disinteressato nei confronti dei suoi cittadini. E le violenze dei cosmonauti forse porteranno in strada ancora più persone, come è accaduto in Bielorussia, dove le proteste non si fermano, nonostante la repressione feroce del regime di Lukashenka che non ha perso il suo potere, il dittatore è ancora presidente, ma ha ormai perso legittimità. Putin è riuscito a costruire attorno a sé una nazione apatica,   che  però adesso ha iniziato a svegliarsi. La repressione, il numero altissimo di forze dell’ordine, che secondo la televisione di stato si sono comportate  in modo “educato e cortese”, l’immagine della pistola puntata contro i manifestanti,  sono il segno che Putin e i suoi non sono più interessati alla loro reputazione. Rimangono aggrappati al potere, un potere che, se l’opposizione riuscirà a trasformare le  proteste in voti per le elezioni della Duma di settembre, rischia di perdere ogni legittimità.

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