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I migranti di Lipa e il “sodalizio illegale” fra Italia, Slovenia e Croazia

Luca Gambardella

Mentre ci si indigna per la tragedia bosniaca, un tribunale italiano dice chiaro che sui respingimenti alla nostra frontiera “il Viminale non poteva non sapere”

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A partire da maggio 2020, l’Italia, la Slovenia e la Croazia hanno messo in piedi “un sodalizio, un meccanismo illegale di respingimenti dei migranti”. Gianfranco Schiavone, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), ha seguito fin dall’inizio la vicenda giudiziaria di Mahmood, cittadino pachistano in fuga dal suo paese per le persecuzioni subite a causa del suo orientamento sessuale. Mahmood era stato uno dei tanti richiedenti asilo respinti con la forza dall’Italia e poi finiti in mezzo alle nevi della Bosnia. L’avvocato Schiavone spiega al Foglio  i passaggi cruciali dell’ordinanza con cui il Tribunale di Roma lo scorso 18 gennaio ha stabilito come, nel caso di Mahmood, il  nostro governo abbia violato tutte le leggi che poteva violare – Costituzione, Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e accordo bilaterale con la Slovenia. Lo ha fatto con l’obiettivo premeditato di “aggirare il diritto d’asilo”, dice Schiavone, perché non ha permesso a Mahmood – e come a lui anche a molti altri migranti – di “avvalersi di un diritto fondamentale, cioè quello di presentare domanda di asilo”.  Secondo il tribunale, “il ministero era in condizioni di sapere che la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta il respingimento in Bosnia nonché che i migranti sarebbero stati soggetti a trattamenti inumani”. Per questo, il Viminale è stato condannato al pagamento delle spese processuali e a garantire che il ricorrente possa  presentare la sua domanda d’asilo. 

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A partire da maggio 2020, l’Italia, la Slovenia e la Croazia hanno messo in piedi “un sodalizio, un meccanismo illegale di respingimenti dei migranti”. Gianfranco Schiavone, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), ha seguito fin dall’inizio la vicenda giudiziaria di Mahmood, cittadino pachistano in fuga dal suo paese per le persecuzioni subite a causa del suo orientamento sessuale. Mahmood era stato uno dei tanti richiedenti asilo respinti con la forza dall’Italia e poi finiti in mezzo alle nevi della Bosnia. L’avvocato Schiavone spiega al Foglio  i passaggi cruciali dell’ordinanza con cui il Tribunale di Roma lo scorso 18 gennaio ha stabilito come, nel caso di Mahmood, il  nostro governo abbia violato tutte le leggi che poteva violare – Costituzione, Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e accordo bilaterale con la Slovenia. Lo ha fatto con l’obiettivo premeditato di “aggirare il diritto d’asilo”, dice Schiavone, perché non ha permesso a Mahmood – e come a lui anche a molti altri migranti – di “avvalersi di un diritto fondamentale, cioè quello di presentare domanda di asilo”.  Secondo il tribunale, “il ministero era in condizioni di sapere che la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta il respingimento in Bosnia nonché che i migranti sarebbero stati soggetti a trattamenti inumani”. Per questo, il Viminale è stato condannato al pagamento delle spese processuali e a garantire che il ricorrente possa  presentare la sua domanda d’asilo. 

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Il caso risulta ancora più inquietante perché  il 13 gennaio,  appena cinque giorni prima dell’ordinanza, lo stesso ministro dell’Interno Luciana Lamorgese aveva raccontato un’altra versione durante un question time alla Camera – un’interrogazione parlamentare che è  “un capolavoro del detto e del non detto”, secondo l’Asgi. In quel caso, Lamorgese aveva invocato proprio l’accordo bilaterale con la Slovenia, sottoscritto nel 1996, per legittimare  le “riammissioni informali” dei migranti. L’accordo opera “parallelamente al regolamento di Dublino”, aveva dichiarato Lamorgese in aula, e “tutela le categorie di stranieri vulnerabili o più esposti a eventuale pericolo”. Parole smentite dall’ordinanza del giudice a proposito del caso di Mahmood. Se da un lato si fa presente che l’accordo bilaterale con la Slovenia non può valere per i richiedenti asilo, d’altra parte anche i metodi violenti usati per i respingimenti – già denunciati da diverse ong – sono comprovati dai fatti. E’ la stessa ordinanza a ricostruire cosa è avvenuto a Mahmood e agli altri migranti che erano con lui: “Gli erano stati fatti firmare alcuni documenti in italiano, gli erano stati sequestrati i telefoni ed erano stati ammanettati. Poi sono stati caricati su un furgone e portati in una zona collinare e intimati, sotto la minaccia di bastoni, di correre dritti davanti a loro, dando il tempo della conta fino a 5. Dopo circa un chilometro erano stati fermati dagli spari della polizia slovena che li aveva arrestati e caricati su un furgone”. In sostanza, “l’Italia chiudeva il confine e rispediva tutti in Slovenia, che a sua volta li rimandava in Croazia, che quindi, come ultima tappa dei respingimenti, faceva ricorso alla violenza per ‘riaccompagnare’ i migranti in Bosnia”. 

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Intanto l’Europa si indigna per le immagini drammatiche che arrivano dai campi in mezzo alla neve in Bosnia Erzegovina, dove i migranti sono abbandonati a se stessi dalle autorità locali. Bruxelles minaccia ritorsioni nei confronti della Bosnia se i princìpi minimi di un’accoglienza civile non saranno presto ripristinati. Per Schiavone “si tratta di una grave forma di ipocrisia”. Come dimostra la sentenza del Tribunale di Roma, “Lipa e il dramma dei campi ai confini croati li abbiamo creati noi”. Parlano i numeri del Viminale: nel 2020 sono state 1.300 le “riammissioni” dei migranti dalla frontiera italiana a quella slovena (più 420 per cento rispetto al 2019), altri 9.000 quelli rispediti dalla Slovenia alla Croazia. Molti di loro vivono adesso in mezzo alla neve in Bosnia.  

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