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A denti stretti / 2

Non è come Hong Kong

Pechino accusa l’America di ipocrisia ma per quanto ci provi non c’è alcun paragone con i manifestanti dell'ex colonia inglese

Giulia Pompili

Era molto facile immaginare che la propaganda cinese (e quella dei suoi sostenitori) avrebbe usato quelle immagini per accusare l’America di ipocrisia e la comunità internazionale di applicare un doppio standard con la Cina. Il modello del Partito comunista è quello della stabilità, ma senza democrazia

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Quando sono iniziate a circolare le immagini del Campidoglio americano, qualcuno ha azzardato il paragone con l’occupazione che i manifestanti fecero del Consiglio legislativo di Hong Kong il primo luglio del 2019. Quello fu il punto di non ritorno delle proteste pro democrazia nell’ex colonia inglese, il primo passaggio a un atto violento contro le istituzioni (nessuno fu ferito, ma la sede del Consiglio fu danneggiata dalle scritte con le bombolette spray) e sul quale non tutti i manifestanti erano d’accordo. Ma era molto facile immaginare che la propaganda cinese (e quella dei suoi sostenitori) avrebbe usato quelle immagini per accusare l’America di ipocrisia e la comunità internazionale di applicare un doppio standard con la Cina. Ann Chiang, deputata dell’Alleanza democratica per il miglioramento e il progresso di Hong Kong, un partito conservatore vicino a Pechino, ha pubblicato ieri sul suo profilo facebook un video della folla trumpiana al Campidoglio, e ha scritto che nel luglio di due anni fa, quando i manifestanti fecero irruzione nel Parlamentino dell’ex colonia inglese, la speaker della Camera Nancy Pelosi parlò di “uno spettacolo bellissimo da vedere”: “Oggi è caduto anche l’ufficio della Pelosi. I membri del Congresso americano possono finalmente sentire il sapore della violenza democratica”. Junius Ho, parlamentare di Hong Kong molto vicino a Pechino, accusato due anni fa di aver avuto contatti con le triadi che organizzarono una missione punitiva per picchiare i manifestanti pro-democrazia, ha scritto in modo sarcastico su Twitter che la situazione a Washington “è peggio di Hong Kong: una donna è stata uccisa!”. Così come un altro parlamentare pro Pechino, Ronny Tong, che ha commentato: “Perché nessuno condanna la violenza della polizia e dà sostegno agli eroi e ai martiri che si battono per ‘elezioni democratiche’?”. 

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Quando sono iniziate a circolare le immagini del Campidoglio americano, qualcuno ha azzardato il paragone con l’occupazione che i manifestanti fecero del Consiglio legislativo di Hong Kong il primo luglio del 2019. Quello fu il punto di non ritorno delle proteste pro democrazia nell’ex colonia inglese, il primo passaggio a un atto violento contro le istituzioni (nessuno fu ferito, ma la sede del Consiglio fu danneggiata dalle scritte con le bombolette spray) e sul quale non tutti i manifestanti erano d’accordo. Ma era molto facile immaginare che la propaganda cinese (e quella dei suoi sostenitori) avrebbe usato quelle immagini per accusare l’America di ipocrisia e la comunità internazionale di applicare un doppio standard con la Cina. Ann Chiang, deputata dell’Alleanza democratica per il miglioramento e il progresso di Hong Kong, un partito conservatore vicino a Pechino, ha pubblicato ieri sul suo profilo facebook un video della folla trumpiana al Campidoglio, e ha scritto che nel luglio di due anni fa, quando i manifestanti fecero irruzione nel Parlamentino dell’ex colonia inglese, la speaker della Camera Nancy Pelosi parlò di “uno spettacolo bellissimo da vedere”: “Oggi è caduto anche l’ufficio della Pelosi. I membri del Congresso americano possono finalmente sentire il sapore della violenza democratica”. Junius Ho, parlamentare di Hong Kong molto vicino a Pechino, accusato due anni fa di aver avuto contatti con le triadi che organizzarono una missione punitiva per picchiare i manifestanti pro-democrazia, ha scritto in modo sarcastico su Twitter che la situazione a Washington “è peggio di Hong Kong: una donna è stata uccisa!”. Così come un altro parlamentare pro Pechino, Ronny Tong, che ha commentato: “Perché nessuno condanna la violenza della polizia e dà sostegno agli eroi e ai martiri che si battono per ‘elezioni democratiche’?”. 

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Naturalmente i due eventi sono imparagonabili, e non solo esteticamente. La natura delle due proteste è opposta: da un lato un gruppo di sostenitori di teorie cospirazioniste si scaglia contro un sistema democratico; dall’altro manifestanti che da mesi domandano che l’autonomia di Hong Kong venga rispettata, e che lo stato di diritto sia garantito. Dal punto di vista di Pechino, però, non esiste differenza, e anzi la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ieri ha sottolineato come la polizia di Hong Kong abbia mostrato “la massima moderazione e professionalità”, tanto che “nessun manifestante è rimasto ucciso, mentre a Washington ci sono già quattro morti in un evento meno violento e distruttivo di quello di Hong Kong”. Anche Hua Chunying ha parlato del doppiopesismo di alcuni esponenti della politica americana, e poi ha concluso con quella che è sembrata quasi una provocazione: “Sappiamo che fuori dal Campidoglio alcuni giornalisti cinesi sono stati aggrediti dai manifestanti. Chiediamo agli Stati Uniti di prendere le misure necessarie per salvaguardare la sicurezza dei giornalisti” (in Cina, in questo momento, ci sono quasi cinquanta giornalisti in stato di arresto).
 

“Ristabilire l’ordine”

 

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L’irruzione al Campidoglio americano arriva poche ore dopo una delle più grandi operazioni di polizia di Hong Kong contro dissidenti e attivisti pro democrazia, che si è chiusa con 53 arrestati. Da mesi, e anche dopo l’introduzione della Legge sulla sicurezza, l’obiettivo imposto da Pechino al governo locale è quello di “ristabilire l’ordine”, l’ordine che è alla base del contratto sociale tra i cittadini cinesi e il Partito comunista. Il caos a Washington arriva quindi in modo quasi provvidenziale: il presidente Xi Jinping, per confermare quel contratto, non ha che da mostrare l’esempio americano. La grande democrazia occidentale non solo non è riuscita a contenere il virus ma è in crisi, e la crisi del sistema significa caos, quello che la seconda economia del mondo – che secondo gli analisti potrebbe sorpassare l’America già nel 2028, cinque anni prima di quanto previsto precedentemente – ha sempre preferito evitare in ogni sua fase politica. Ma se da un lato sui social network cinesi e su tabloid estremisti come il Global Times l’attacco al Campidoglio è usato e rilanciato per screditare il modello americano, dal punto di vista istituzionale il Partito è molto più cauto a parlare liberamente di proteste – lo faceva notare ieri su Twitter l’analista di affari asiatici Isaac Stone Fish: “Ci sarà un dibattito all’interno del dipartimento di Propaganda cinese su quanto concentrarsi su questa storia. Pechino può girarla sul caos della democrazia americana. Ma enfatizzare certi eventi potrebbe   incoraggiare i cinesi a fare qualcosa di simile”. Le sei settimane di protesta in Piazza Tienanmen nella primavera del 1989 sono rimosse dalla memoria collettiva, ma sono un ricordo recente per il Partito. Sul Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista cinese, oltre alla cronaca degli avvenimenti di Washington, un editoriale firmato da Zhang Hong era titolato: “La più grande minaccia dell’America è l’America stessa”. 

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