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A denti stretti

Il brivido di Putin mentre guarda l'assalto al Congresso

Micol Flammini

Il Cremlino critica “il sistema arcaico” degli Stati Uniti, ma quanto gli fan paura i disordini degli altri in questo 2021

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L’immagine del Campidoglio devastato, con i sostenitori di Trump seduti dietro la scrivania di Nancy Pelosi, che usano la sua carta intestata, che si scattano fotografie con i simboli della loro democrazia calpestata, pronti per metterle sui social, deve essere piaciuta molto a Vladimir Putin. Il presidente russo non ha reagito, non ha parlato, qualche suo sottoposto deve averlo fatto per lui. Per esempio, la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha scritto su Facebook che finalmente adesso gli Stati Uniti la smetteranno di definirsi la miglior democrazia del mondo. Quelle immagini così devastanti sembravano uscire da uno di quei post di notizie false che in questi ultimi anni abbiamo visto spuntare dai social, molti condivisi da account riconducibili a un’opera di disinformazione da parte della Russia. Mercoledì notte il Cremlino ha visto la dimostrazione del fatto che  qualcosa del lavoro fatto nella sua guerra dell’informazione ha dato i suoi frutti, ha riempito il Campidoglio, le televisioni e i social. Alla Russia non è mai interessato Donald Trump, il presidente incendiario era soltanto parte del progetto, della volontà di vedere finalmente un’America con le corna in testa pronta a creare caos nel nome di un broglio inesistente. 

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L’immagine del Campidoglio devastato, con i sostenitori di Trump seduti dietro la scrivania di Nancy Pelosi, che usano la sua carta intestata, che si scattano fotografie con i simboli della loro democrazia calpestata, pronti per metterle sui social, deve essere piaciuta molto a Vladimir Putin. Il presidente russo non ha reagito, non ha parlato, qualche suo sottoposto deve averlo fatto per lui. Per esempio, la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha scritto su Facebook che finalmente adesso gli Stati Uniti la smetteranno di definirsi la miglior democrazia del mondo. Quelle immagini così devastanti sembravano uscire da uno di quei post di notizie false che in questi ultimi anni abbiamo visto spuntare dai social, molti condivisi da account riconducibili a un’opera di disinformazione da parte della Russia. Mercoledì notte il Cremlino ha visto la dimostrazione del fatto che  qualcosa del lavoro fatto nella sua guerra dell’informazione ha dato i suoi frutti, ha riempito il Campidoglio, le televisioni e i social. Alla Russia non è mai interessato Donald Trump, il presidente incendiario era soltanto parte del progetto, della volontà di vedere finalmente un’America con le corna in testa pronta a creare caos nel nome di un broglio inesistente. 

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Sempre Maria Zakharova ha detto all’agenzia Ria Novosti che “gli eventi di Washington mostrano che il processo elettorale degli Stati Uniti è arcaico, non soddisfa gli standard moderni ed è soggetto a violazioni”, poi ha augurato al popolo americano “di poter uscire a testa alta da questo momento drammatico della propria storia”. Putin invece niente, uscito da una funzione religiosa per il Natale ortodosso, non ha detto nulla ai giornalisti. Il suo debole per Trump è noto, prima di riconoscere la vittoria di Joe Biden ha lasciato trascorrere più di un mese, ma nell’ultimo anno il presidente russo ha sviluppato una paura profonda per le manifestazioni, per le proteste, per le strade piene di cortei. E’ una paura iniziata guardando i fatti di Khabarovsk, dove i russi hanno manifestato per mesi dopo l’arresto del loro governatore. Khabarovsk non è Mosca, è in Siberia, ma il rumore di quelle manifestazioni che la stampa vicina al Cremlino aveva cercato di coprire è arrivato un po’ ovunque e ha raccolto solidarietà. Ogni fine settimana la protesta si ampliava, la polizia iniziava a simpatizzare con i cortei e a distribuire mascherine e non a reagire contro di chi gridava: “Putin dimettiti!”. Poi c’è stata la Bielorussia, e c’è ancora. Non è una protesta contro il Cremlino, ma contro un presidente diventato dittatore che pretende di aver vinto le elezioni in agosto. I bielorussi scendono in strada ogni giorno, il fine settimana con più intensità, rimangono pacifici, non reagiscono alle violenze delle Forze speciali, continuano a chiedere, con la stessa intensità di agosto, a Aljaksandr Lukashenka di andarsene via, di concedere nuove elezioni trasparenti. Putin, che non ama il dittatore bielorusso, osserva, ha osservato dall’inizio, e il timore che quello che sta accadendo lì, che la stanchezza trainata dalle nuove generazioni per un presidente che non se ne vuole andare, possa contagiare anche i russi, cresce. Negli Stati Uniti, in quel “sistema arcaico”, come ha detto il ministero degli Esteri, è successo il contrario, perché la democrazia funziona e un presidente che non vuole lasciare la Casa Bianca ha scatenato i suoi sostenitori. Ma l’immagine dei disordini per Putin suona quasi come un monito in questo 2021 di elezioni. 

   

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A settembre si vota per la Duma e spesso, le elezioni, in modo particolare quelle del Parlamento, hanno determinato l’inizio di un’ondata di disordini. E’ accaduto nel 2011, ma anche poco tempo fa, nel 2019, quando ad alcuni candidati dell’opposizione era stato impedito di partecipare alle elezioni per il consiglio comunale di Mosca. Furono manifestazioni fortissime, alle quali la polizia reagì con violenza e soprattutto durarono per tutta l’estate, senza che il Cremlino riuscisse a fermarle. Il 2021 per Putin sarà l’anno in cui i risultati della mala gestione della pandemia si faranno sentire, i risultati economici scarsi faranno arrabbiare anche i russi che meno si interessano alla politica, come era successo quando venne annunciata la riforma delle pensioni. Per questo, per paura di questo 2021 che porterà tensioni e anche elezioni, la Duma, solitamente sonnolenta, prima che l’anno finisse si è lasciata andare a un moto legislativo senza precedenti e la maggior parte dei provvedimenti riguarda proprio i diritti civili, come quello di protestare: sono vietate le manifestazioni pubbliche vicino ai locali delle forze dell’ordine e i picchetti, spesso usati per evitare le restrizioni anche durante la pandemia, sono equiparati a proteste di massa. La ventata di leggi arrivate dalla Duma a fine del 2020 cerca di essere una copertura per tutto quello che potrebbe accadere in Russia.

  
 Il Cremlino teme le proteste e ieri, mentre guardava Washington assaltata, deve essere venuto un brivido al presidente russo, che i disordini non li ha mai amati, ma adesso li teme anche. 

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