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Che fine ha fatto il "rapporto privilegiato"?

L'accordo Ue-Cina ci dice qualcosa sull'Italia

Due anni fa, quando il governo Conte-Di Maio-Salvini entrava nella Via della Seta, a Parigi si faceva sul serio

Giulia Pompili

La presenza di Emmanuel Macron alla conferenza di conclusione dei negoziati per il Cai non è piaciuta a nessuno, da Palazzo Chigi alla Farnesina. Eppure il motivo dell'esclusione è da far risalire a quel marzo del 2019, quando l'Italia ha steso il tappeto rosso a Xi Jinping mentre Parigi, Berlino e Bruxelles facevano fronte comune

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All’Italia non è piaciuta la mossa europea di velocizzare l’intesa sugli investimenti con Pechino. Dalla Farnesina a Palazzo Chigi si avverte la sensazione di un’occasione mancata, anzi di un’estromissione, perché Roma è stata sostanzialmente spettatrice dei negoziati, specialmente quelli dell’ultimo minuto. Per capire l’origine di un accordo che ha avuto una guida franco-tedesca, però, bisogna tornare indietro a due anni fa, quando l’Italia, improvvisamente, ha accelerato il suo rapporto bilaterale con Pechino, con la pasticciata firma d’ingresso nel progetto della Via della Seta che non ha portato alcun vantaggio al paese, ma che ha sollevato i dubbi di parecchi alleati.

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All’Italia non è piaciuta la mossa europea di velocizzare l’intesa sugli investimenti con Pechino. Dalla Farnesina a Palazzo Chigi si avverte la sensazione di un’occasione mancata, anzi di un’estromissione, perché Roma è stata sostanzialmente spettatrice dei negoziati, specialmente quelli dell’ultimo minuto. Per capire l’origine di un accordo che ha avuto una guida franco-tedesca, però, bisogna tornare indietro a due anni fa, quando l’Italia, improvvisamente, ha accelerato il suo rapporto bilaterale con Pechino, con la pasticciata firma d’ingresso nel progetto della Via della Seta che non ha portato alcun vantaggio al paese, ma che ha sollevato i dubbi di parecchi alleati.

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Il 31 dicembre scorso la fine dei negoziati per l’accordo sugli investimenti tra Europa e Cina è stata celebrata da una videoconferenza alla quale hanno partecipato il presidente cinese Xi Jinping, i due leader europei, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e poi la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron. E’ sugli ultimi due che si è chiacchierato di più: ma se da un lato Merkel era presente alla conferenza perché la Germania è la presidente di turno dell’Unione - ma soprattutto perché è Berlino ad aver trattato di più per questo accordo - Macron, ufficialmente, era presente per una ragione piuttosto inusuale: secondo quanto riportato dal comunicato tedesco, la Francia sarebbe stata invitata perché il trattato con la Cina dovrebbe essere ratificato tra gennaio e giugno 2022, quando sarà il turno di Parigi di avere la presidenza dell’Ue.

 

Su Repubblica Alberto D’Argenio scrive di un Giuseppe Conte “estremamente irato per lo smacco”, e Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Esteri, ha detto l’altro ieri al Corriere della sera che “avere Macron, la scelta di un solo paese sugli altri 26, non credo si giustifichi. E’ un formato irrituale che segna anche una sconfitta per noi italiani. E ci dice che quello sciagurato accordo sulla Via della Seta che il precedente governo ha concluso nel 2019 è stato un fallimento completo”. La rappresentanza italiana a Bruxelles e – secondo fonti del Foglio – perfino il consigliere diplomatico di Conte, Pietro Benassi, avrebbero chiesto alle istituzioni europee di escludere Macron dalla videoconferenza con Xi, e che “la coreografia fosse solo a livello di istituzioni europee”. In effetti, al di là della giustificazione ufficiale sulla convocazione, poco convincente, è facile intuire perché la Francia ci tenesse molto a risultare tra gli artefici dell’accordo. Perché ci ha lavorato, e coinvolgendo sempre le istituzioni europee, così come la Germania. Ma ad accelerare i negoziati sull’Eu-China Comprehensive Agreement on Investment (Cai) è stata una mossa azzardata e vincente di Macron. Nel marzo del 2019 i negoziati tra Bruxelles e Pechino andavano avanti già da sei anni, ma erano a un punto morto. Il 26 marzo del 2019, il presidente francese accolse a sorpresa Xi Jinping a Parigi in compagnia di Angela Merkel e dell’allora presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker: è stato quello il vertice che ha fatto ripartire le trattative, chiuse l’altro ieri.

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Prima di Parigi, il presidente cinese era stato a Roma, dove era stato accolto con i tappeti rossi dal governo gialloverde per firmare l’ingresso italiano nella Via della Seta: un accordo difeso da Conte e Di Maio in varie fasi dei due governi, nonostante le critiche, arrivate anche da Francia e Germania, che chiedevano più cooperazione a livello europeo. Ma niente. Addirittura Di Maio, durante la conferenza stampa dopo la firma, rispondeva alle critiche dicendo: “E’ chiaro che l’Italia è arrivata prima sulla Via della Seta e quindi altri paesi Ue hanno delle loro posizioni critiche, ne hanno tutto il diritto. Nessuno vuole scavalcare i nostri partner Ue ma, come qualcuno diceva America First, noi nelle relazioni commerciali diciamo Italy First”. La Via della Seta però, lungi dall’essere l’apripista di nuovi accordi in Europa, come pure sosteneva l’allora sottosegretario della Lega al Mise, Michele Geraci, per l’Italia è stata inutile, quando non dannosa: dal 2019 la bilancia commerciale con la Cina è peggiorata, i numeri delle esportazioni parlano. Al posto della Via della Seta, altre due potenze europee hanno deciso di continuare a negoziare un accordo considerato da più parti  vantaggioso - la Cina teoricamente apre le porte agli investimenti europei - ed è un modo concreto per portare Pechino sugli standard occidentali. Funziona meglio, con l’ombrello europeo, di un’intesa propagandistica bilaterale. La Cina “vincerà la Terza guerra mondiale, noi abbiamo un rapporto privilegiato con loro”,  diceva Alessandro Di Battista qualche mese fa. Adesso è stato definitivamente smentito anche il bluff del “rapporto privilegiato”.  

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