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L’impunità strategica fa parte del putinismo: “E allora?”

Daniele Ranieri

L’agente nervino novichok usato prima a Londra e poi nelle mutande di un oppositore è il messaggio di chi si sente too big to fail 

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Da un paio di anni guardiamo le inchieste sui servizi segreti russi e sui loro errori come se fossero uno sketch mezzo da seguire e mezzo da ridere. Nel marzo 2018 due sicari mandati a Salisbury, vicino Londra, a eliminare il doppiogiochista Sergei Skripal travestiti da turisti russi finirono immortalati sulle prime pagine di tutti i giornali inglesi. Una squadra di quattro agenti mandata all’Aia a origliare con dispositivi elettronici l’edificio dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche fu arrestata in flagrante dalla polizia olandese nel parcheggio, erano tutti nascosti nella stessa automobile. Adesso sappiamo che un’altra squadra pedinava l’oppositore più famoso di Russia, Alexey Navalny, per mettergli il novichok nelle mutande e quando il tentativo è fallito è stata mandata a coprire le tracce e a recuperare l’indumento. E’ materiale imbarazzante. Questo giornale un paio di anni fa ha titolato un pezzo: “La sai l’ultima sull’intelligence russa?”, per raccontare dello scivolamento di un argomento tragico, le operazioni dei servizi russi, verso la barzelletta. Ma quello che a noi sembra uno smacco non lo è visto dalla Russia, dove il potere, avvisano gli esperti, si sta bunkerizzando, quindi sta diventando sempre più nascosto, inaccessibile e aggressivo. In fin dei conti, chi ordina l’uccisione con il veleno di un doppiogiochista vicino a Londra lo fa perché ha considerato e soppesato tutti gli scenari. Nel migliore dei casi Skripal sarebbe morto avvelenato e la sua fine sarebbe stata un messaggio per l’enorme comunità russa che vive a Londra. Nel peggiore dei casi l’operazione sarebbe fallita e i sicari sarebbero stati scoperti – è quello che è successo – ma il messaggio sarebbe passato lo stesso, forse anche di più. Vale anche per Navalny. Chi ordina di uccidere l’unico nome dell’opposizione russa conosciuto fuori dal paese mette in conto che ci saranno sospetti e accuse e tollera questa eventualità perché comunque accetta le conseguenze. Il messaggio è: siamo stati noi e allora? Continueremo a negoziare con l’occidente su altri dossier importanti. 

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Da un paio di anni guardiamo le inchieste sui servizi segreti russi e sui loro errori come se fossero uno sketch mezzo da seguire e mezzo da ridere. Nel marzo 2018 due sicari mandati a Salisbury, vicino Londra, a eliminare il doppiogiochista Sergei Skripal travestiti da turisti russi finirono immortalati sulle prime pagine di tutti i giornali inglesi. Una squadra di quattro agenti mandata all’Aia a origliare con dispositivi elettronici l’edificio dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche fu arrestata in flagrante dalla polizia olandese nel parcheggio, erano tutti nascosti nella stessa automobile. Adesso sappiamo che un’altra squadra pedinava l’oppositore più famoso di Russia, Alexey Navalny, per mettergli il novichok nelle mutande e quando il tentativo è fallito è stata mandata a coprire le tracce e a recuperare l’indumento. E’ materiale imbarazzante. Questo giornale un paio di anni fa ha titolato un pezzo: “La sai l’ultima sull’intelligence russa?”, per raccontare dello scivolamento di un argomento tragico, le operazioni dei servizi russi, verso la barzelletta. Ma quello che a noi sembra uno smacco non lo è visto dalla Russia, dove il potere, avvisano gli esperti, si sta bunkerizzando, quindi sta diventando sempre più nascosto, inaccessibile e aggressivo. In fin dei conti, chi ordina l’uccisione con il veleno di un doppiogiochista vicino a Londra lo fa perché ha considerato e soppesato tutti gli scenari. Nel migliore dei casi Skripal sarebbe morto avvelenato e la sua fine sarebbe stata un messaggio per l’enorme comunità russa che vive a Londra. Nel peggiore dei casi l’operazione sarebbe fallita e i sicari sarebbero stati scoperti – è quello che è successo – ma il messaggio sarebbe passato lo stesso, forse anche di più. Vale anche per Navalny. Chi ordina di uccidere l’unico nome dell’opposizione russa conosciuto fuori dal paese mette in conto che ci saranno sospetti e accuse e tollera questa eventualità perché comunque accetta le conseguenze. Il messaggio è: siamo stati noi e allora? Continueremo a negoziare con l’occidente su altri dossier importanti. 

      

Lo dice bene Andrei Soldatov, un giornalista russo che da vent’anni segue le vicende dell’intelligence e  ieri ha scritto un breve saggio su Meduza: “Non mancano i professionisti nell’intelligence russa. Dipende come definiamo questa professionalità. Negli ultimi sei anni la funzione primaria dell’Fsb è stata quella di reprimere, specificamente di intimidire bersagli selezionati. E in questo sono dei professionisti. Per quel che riguarda l’intelligence militare, il Gru, deve dimostrare che il presidente della Russia ha sempre a disposizione un’unità pronta a fare qualsiasi cosa senza esitazione, non importano le conseguenze, siano esse uno scandalo pubblico, le coperture che saltano o altro. Dal punto di vista delle aspettative del Cremlino, che tiene conto di lealtà e convinzione sopra ogni cosa, stanno facendo bene”. E ancora: “Parliamo di quanto sono stati scemi gli agenti a Salisbury, ma da allora tutti gli oligarchi a Londra e tutti gli oligarchi a Mosca che non sono più nelle grazie del Cremlino parlano del novichok”. E infatti Soldatov si aspetta che non ci saranno rimozioni o punizioni per questa faccenda di Navalny. Tutto dovrebbe restare al suo posto comese non fosse successo nulla. Putin ha punito i servizi una volta sola, quando i guerriglieri ceceni occuparono per poco la regione dell’Inguscezia. 

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