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Come poteva finire la Brexit se non discutendo di soldi e merluzzi?

David Carretta

Possibile che nell’era della digitalizzazione, della globalizzazione e del Covid-19, lo modalità di separazione di due vecchi amici vengano decise dalla pesca?

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“Siamo a un momento di verità” e restano solo “poche ore” per trovare un accordo con il Regno Unito per il dopo Brexit, ha detto il caponegoziatore dell’Unione europea, Michel Barnier. “La nostra porta è aperta. Continueremo a discutere. Ma devo dire che le cose appaiono difficili e ci sono divergenze che devono essere colmate”, ha risposto il premier britannico, Boris Johnson, ripetendo che il suo paese “prospererà” anche con i dazi dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). L’intesa su un accordo di libero scambio per minimizzare i danni economici della Brexit ieri era a un passo. Johnson ha ceduto sulla principale richiesta dell’Ue: seguire le regole europee su aiuti di stato e standard ambientali e sociali per evitare concorrenza sleale e dumping britannici. Eppure gli oltre 700 miliardi di euro scambi commerciali annui tra le due sponde della Manica potrebbero essere compromessi da un settore che vale appena 750 milioni di euro: la pesca. Durante tutta la giornata le due squadre negoziali hanno trattato su quote, periodi transitori, miglia dalla costa, specie pelagiche.

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“Siamo a un momento di verità” e restano solo “poche ore” per trovare un accordo con il Regno Unito per il dopo Brexit, ha detto il caponegoziatore dell’Unione europea, Michel Barnier. “La nostra porta è aperta. Continueremo a discutere. Ma devo dire che le cose appaiono difficili e ci sono divergenze che devono essere colmate”, ha risposto il premier britannico, Boris Johnson, ripetendo che il suo paese “prospererà” anche con i dazi dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). L’intesa su un accordo di libero scambio per minimizzare i danni economici della Brexit ieri era a un passo. Johnson ha ceduto sulla principale richiesta dell’Ue: seguire le regole europee su aiuti di stato e standard ambientali e sociali per evitare concorrenza sleale e dumping britannici. Eppure gli oltre 700 miliardi di euro scambi commerciali annui tra le due sponde della Manica potrebbero essere compromessi da un settore che vale appena 750 milioni di euro: la pesca. Durante tutta la giornata le due squadre negoziali hanno trattato su quote, periodi transitori, miglia dalla costa, specie pelagiche.

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Possibile che nell’era della digitalizzazione, della globalizzazione e del Covid-19, lo modalità di separazione di due vecchi amici vengano decise da merluzzi e capesante?

 

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Sin dall’inizio dei negoziati sulle relazioni post Brexit la pesca è stata considerata come il tema più esplosivo, quello in grado di far saltare tutto. Insignificante sul piano economico (appena lo 0,12 per cento del pil) ha un alto valore politico e simbolico. E’ l’unico settore in cui Johnson può dire di aver ripreso il controllo affermando la sovranità fisica sulle acque territoriali e la zona economica esclusiva britanniche. Lo ha già fatto facendo uscire la notizia di essere pronto a inviare quattro navi da guerra della Royal Navy per impedire l’accesso ai pescatori europei. E’ l’unico capitolo negoziale in cui l’Ue è in una posizione di debolezza perché le flotte di 8 stati membri operano liberamente nella acque del Regno Unito da decenni.

 

Con le presidenziali del 2022 Emmanuel Macron non può permettersi una rivolta dei pescatori del nord della Francia così come la danese Mette Frederiksen deve difendere quelli dello Jutland. Prima, durante e dopo la permanenza britannica nell’Ue, la storia d’Europa è stata segnata da conflitti sul pesce nell'Atlantico, dalla “Cod war” (la guerra del merluzzo) degli anni 1950 alla “Guerre de la coquille” (la guerra delle capesante) del 2018. La pesca sta all’accordo post Brexit come il confine nell’isola d’Irlanda sta all’accordo Brexit: il problema centrale è la sovranità assoluta che è incompatibile con una soluzione razionale e benefica per entrambe le parti. Johnson ha sostenuto che il Regno Unito non può essere l’unico paese al mondo a non avere il controllo sulle sue acque. Barnier ieri ha spiegato che l’Ue vuole “il diritto sovrano di reagire” con dei dazi commerciali (in particolare sul pesce) se il Regno Unito taglierà “all’improvviso l’accesso ai pescatori europei”. Per il resto i parametri di un’intesa sono conosciuti. L’Ue ha rinunciato a chiedere che tutto continui come prima. Il Regno Unito ha rinunciato a cacciare gli europei dal 1 gennaio. Entrambi sono pronti a un periodo transitorio: si tratta di trovare un compromesso tra i tre anni (proposti dai britannici) e gli otto anni (chiesti dagli europei) e sulle quote per le due parti (l’Ue è pronta a cedere il 15/18 per cento, il Regno Unito chiede indietro l’80 per cento). Se non fosse per il feticcio della sovranità, un’intesa sarebbe semplice. Del resto il pesce illustra i benefici dell’Unione europea. Il Regno Unito pesca ed esporta crostacei, aringhe e salmone, ma importa il 91 per cento del merluzzo che consuma. Nel corso degli anni i britannici si sono specializzati nei prodotti ittici più redditizi in funzione mercato dell’Ue. Senza un “deal” potrebbero essere costretti a usare le capesante al posto del merluzzo per il loro fish and chips.

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