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Quattro anni di galera per Sarkozy. La richiesta dei giudici per l'affaire Paul Bismuth

Mauro Zanon

Tra l'ex presidente francese e gli altri due protagonisti dello scandalo sulle intercettazioni è emerso "un entrismo all’interno del più alto organo giudiziario francese". L'accusa è corruzione e traffico di influenze illecite 

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Quattro anni di prigione (due con la condizionale): una prima assoluta per un presidente nella storia della Quinta Repubblica francese. È questa la richiesta della Procura nazionale finanziaria (Pnf) ai danni di Nicolas Sarkozy, accusato di “corruzione” e “traffico di influenze illecite” nell’ambito dell’ormai celebre “affaire des écoutes”, lo scandalo delle intercettazioni che lo perseguita dal 2014, ossia da quando la giustizia ha scoperto la sua linea telefonica segreta, a nome di Paul Bismuth, e la promessa di un incarico prestigioso a un magistrato in cambio di informazioni coperte dal segreto istruttorio sul dossier Bettencourt.

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Quattro anni di prigione (due con la condizionale): una prima assoluta per un presidente nella storia della Quinta Repubblica francese. È questa la richiesta della Procura nazionale finanziaria (Pnf) ai danni di Nicolas Sarkozy, accusato di “corruzione” e “traffico di influenze illecite” nell’ambito dell’ormai celebre “affaire des écoutes”, lo scandalo delle intercettazioni che lo perseguita dal 2014, ossia da quando la giustizia ha scoperto la sua linea telefonica segreta, a nome di Paul Bismuth, e la promessa di un incarico prestigioso a un magistrato in cambio di informazioni coperte dal segreto istruttorio sul dossier Bettencourt.

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“I fatti non si sarebbero prodotti se un ex presidente, nonché avvocato, si fosse ricordato della grandezza, della responsabilità e dei doveri del ruolo che ha ricoperto”, ha attaccato il procuratore Jean-Luc Blachon nella severa requisitoria, sottolineando che in quanto capo dello stato era “il guardiano dell’indipendenza dell’autorità giudiziaria”. E ancora: “La Repubblica non dimentica i suoi presidenti, anche solo perché fanno la storia. Al contrario, non è tollerabile che un ex presidente possa dimenticare la Repubblica e ciò che essa difende da diversi decenni: uno stato di diritto”, ha aggiunto Blachon, denunciando gli “effetti devastanti di un’affaire che si scontra con i valori repubblicani”.

 

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Il Pnf ha chiesto la stessa condanna anche per gli altri due protagonisti dello scandalo: Thierry Herzog, avvocato storico e amico di lunga data di Sarkò, e Gilbert Azibert, l’alto magistrato dalla Corte di cassazione che aveva ceduto alle blandizie dell’ex inquilino dell’Eliseo per brame professionali. Ma riavvolgiamo il nastro.

 

Tutto inizia nel 2013, quando i giudici decidono di mettere l’ex président sotto intercettazione nell’ambito dell’affaire sui finanziamenti libici di Gheddafi alla campagna presidenziale del 2007. Gli inquirenti origliano per un anno, fino a quando non reperiscono una strana linea telefonica, aperta sotto l’identità di “Paul Bismuth”, dove quest’ultimo, dietro cui si nasconde Sarkò, ha molte cosa da dire all’avvocato Thierry Herzog, ma anche molte cose da chiedere al magistrato della Corte di cassazione Gilbert Azibert. Dal magistrato, Sarkozy, vuole avere informazioni confidenziali su una procedura a margine del caso Bettencourt, dal nome dell’ereditiera di L’Oréal sospettata di aver finanziato in maniera illecita la campagna presidenziale del 2007. E come riconoscimento, l’ex leader della destra gollista gli assicura un intervento in suo favore per avere uno scranno al Consiglio di stato di Monaco.

 

Dalle conversazioni, come sottolineato ieri dall’accusa, è emerso “il patto di corruzione” tra i tre uomini: “un entrismo all’interno del più alto organo giudiziario francese” accanto a “una dissimulazione attraverso l’utilizzazione di linee telefoniche occulte”, secondo le parole dei procuratori. Sarkò, alla sbarra, ha gonfiato il petto contro l’accusa, parlando di un “dossier grottesco”, negando l’esistenza di un “un patto” e affermando con la solita tracotanza di aver passato “tutta la vita” a dare spintarelle professionali. Prima della requisitoria di Blachon e dell’altro procuratore coinvolto, il presidente del Pnf, Jean-François Bonhert è venuto di persona a sostenere i suoi colleghi dinanzi alle molte critiche provenienti dal clan Sarkozy. “Nessuno qui cerca di vendicarsi di un ex presidente della Repubblica”, ha spiegato Bohnert. Per la destra gollista, tuttavia, i giudici non vedono l’ora di spennare il galletto Sarkò, e questo è solo il primo di una serie di processi che continuerà nel 2021.

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Nel quadro dell’“affaire des écoutes”, è tornato anche a parlare il vero Paul Bismuth, commerciante e promotore immobiliare israeliano, che a Bfm.tv ha raccontato il suo calvario. “Thierry Herzog era un mio compagno di classe. Un giorno era seduto nel dehors di un caffè con un altro nostro compagno. Hanno evocato il mio nome discutendo dei bei tempi andati”, ha detto a Bfm.tv, completamente ignaro di quali fossero le trame di Herzog. “Sono terribilmente seccato di vedere il mio nome dappertutto”, ha aggiunto, deplorando il fatto che oggi si parli più dell“affaire Paul Bismuth” che dell’“affaire Sarkozy”. Il vero Paul Bismuth si è costituito parte civile, e dal processo si augura solo una cosa: “Essere lasciato in pace”.

 

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